L’autrice del libro “Il Potere segreto”: “Non c’è democrazia se non c’è la possibilità di rivelare i crimini di Stato”
di Eugenio Abruzzese*
Quanto è necessario il giornalismo d’inchiesta? E quanto è importante, nel 2021, continuare ad interrogarsi sui fatti del passato che condizionano il tempo presente? Tra questi, ovviamente, non può mancare quanto avvenuto l’11 settembre 2001, con l’attentato alle Torri Gemelle. L’inizio di una guerra senza fine al terrorismo. O forse l’inizio di una guerra per il “controllo della democrazia”. Anche di questo abbiamo parlato con la giornalista d’inchiesta Stefania Maurizi autrice del libro “Il potere segreto” (edito da Chiarelettere), uscito da poche settimane in libreria, in cui si affronta un tema che davvero dovrebbe riguardarci tutti: Wikileaks e ciò che sta subendo il suo fondatore, il giornalista Julian Assange.
Stefania Maurizi è infatti non solo l’unica giornalista italiana ad aver seguito fin dall’inizio il caso Assange, ma l’unica internazionale ad aver lavorato a tutti i documenti segreti di Wikileaks.
Le pubblicazioni di Wikileaks risultano oggi particolarmente attuali, soprattutto, visti gli ultimi avvenimenti, quelle riguardanti l’Afghanistan. Eppure il dibattito che, in queste settimane, si sta svolgendo su questo tema, risulta essere fortemente carente di un’appropriata analisi storica nonché di un’autocritica nei confronti dell’Occidente. “Praticamente negli ultimi dieci anni in Afghanistan c’è stato un 11 settembre all’anno” ha detto durante l’intervista la giornalista Maurizi “eppure questa guerra è rimasta completamente ignorata. Questo silenzio è stato d’oro per il complesso militare-industriale degli Stati Uniti e per quello dei loro alleati, come l’Italia: hanno potuto fare la guerra senza il braccio legato dietro la schiena”.
E sono stati proprio questi due elementi, le guerre scaturite dall’11 settembre e “Il Potere Segreto”, il fulcro dell’intervista.
Qualche giorno fa è stato l’anniversario di una data decisamente importante. Non solo per ciò che successe 20 anni fa nel cuore di New York, ma soprattutto per ciò che ne seguì. Nel tuo ultimo libro, “Il potere segreto”, dedichi molto spazio alle cosiddette “Forever Wars”, le guerre perpetue iniziate dagli Stati Uniti dopo il 2001. Ma oggi, dopo 20 anni, cosa possiamo dire di aver ottenuto in queste guerre “perpetue” a cui ha partecipato anche l’Italia?
«Secondo l’autorevole progetto ‘Costs of War’ della Brown University, gli Stati Uniti hanno speso 8mila miliardi di dollari nella guerra al terrorismo, dopo l’11 settembre, e tra le 897.000 e le 929.000 persone sono state uccise in questa guerra, un dato impressionante a cui va ad aggiungersi il numero – ancora più ingente, ma difficile da stimare – di persone morte per cause indirettamente connesse alla guerra, tipo la distruzione di ospedali in paesi come l’Iraq. Che cosa hanno ottenuto gli Stati Uniti a fronte di questa distruzione di vite umane e ingenti spese di denari pubblici? Non solo non hanno ottenuto assolutamente nulla, come dimostra il disastro in Afghanistan, ma hanno peggiorato di gran lunga la situazione. La distruzione dell’Iraq ha portato alla nascita dell’ISIS, ancora più brutale di al Qaeda, se possibile. Dall’Iraq, l’ISIS è arrivato fino all’Afghanistan. La brutalità delle torture nelle prigioni segrete della CIA, a Guantanamo, a Bagram, in Afghanistan, o ad Abu Ghraib in Iraq ha gettato benzina sulle fiamme del fondamentalismo: hanno creato molti più terroristi di quelli che al Qaeda e l’Isis sarebbero mai riusciti ad arruolare. Non solo: hanno imboccato una strada che mette in grave pericolo la democrazia. La sorveglianza di massa della Nsa, introdotta subito dopo gli attacchi dell’11 settembre, è incompatibile con la democrazia e c’è da sperare che non finisca in mano a gente come i suprematisti bianchi e fanatici di quel tipo, perché il rischio sarebbe enorme. La guerra segreta dei droni viene condotta al di fuori di ogni controllo democratico: le persone vengono ammazzate senza alcun processo, senza alcuna possibilità di controllare chi viene ammazzato e perché, tanto che spesso neppure la Cia, che opera questo programma, ha idea di chi ammazza. Sono queste atrocità e abusi agghiaccianti che hanno portato insider come Chelsea Manning e Edward Snowden a farsi avanti e denunciare, fornendo all’opinione pubblica i documenti che le provano. Come ricostruisco nel mio libro “Il Potere Segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e WikiLeaks”, Chelsea Manning, Julian Assange e Edward Snowden hanno dovuto pagare un prezzo altissimo per la scelta di rivelarli, mentre i criminali di guerra e i torturatori hanno sempre dormito nei loro letti pacifici, godendosi le loro famiglie.»
Proprio riguardo le guerre scaturite dall’11 settembre del 2001, oggi si fa un gran parlare di Afghanistan, dopo 20 anni di silenzio mediatico nei confronti dell’invasione militare ad opera della NATO e, quindi, Italia compresa. Non pensi che oggi manchi, nel dibattito sull’Afghanistan, proprio un’autocritica su ciò che gli eserciti occidentali hanno commesso in quel paese? E che il parlare solo della brutalità dei talebani e dei profughi accolti sia un modo per auto-assolversi dai propri peccati?
«E’ mancato e manca assolutamente un dibattito pubblico. Questo è il cuore del problema. Come racconto nel mio libro, l’assenza di questo dibattito è stato uno dei fattori cruciali che ha permesso alla guerra in Afghanistan di andare avanti per 20 anni, senza alcun risultato, senza alcuna logica. Un disastro che si è rivelato in tutta la sua gravità in queste settimane, che abbiamo assistito al ritiro delle forze americane e occidentali e all’esfiltrazione dei cittadini afghani che hanno collaborato con le truppe occidentali. L’esercito degli Stati Uniti – il più potente del mondo per risorse economiche, tecnologiche e di intelligence – è stato sconfitto da una forza medievale come quella dei talebani. Questo deve dare una misura di quanto sia stata assurda la guerra in Afghanistan, che, non dimentichiamoci, secondo i dati raccolti dalla missione delle Nazioni Unite in Afghanistan, l’UNAMA, soltanto dal 2009 al 2019 ha causato tremila morti innocenti all’anno, uccisi sia dalle forze statunitensi e occidentali sia dai talebani e altri attori. Praticamente negli ultimi dieci anni in Afghanistan c’è stato un 11 settembre all’anno, eppure questa guerra è rimasta completamente ignorata. Questo silenzio è stato d’oro per il complesso militare-industriale degli Stati Uniti e per quello dei loro alleati, come l’Italia: hanno potuto fare la guerra senza il braccio legato dietro la schiena. Nel mio libro, ricostruisco come in un documento segreto del 2010, la Cia scrisse nero su bianco come la mancanza di attenzione pubblica avesse permesso ai leader politici di paesi come Francia e Germania di continuare ad aumentare il numero delle loro truppe in Afghanistan, nonostante i cittadini francesi e tedeschi fossero contrari alla guerra. Questo silenzio e questa apatia pubblica sono stati una vera benedizione per il complesso militare-industriale e d’intelligence degli Stati Uniti e dei loro alleati. Hanno potuto manovrare completamente indisturbati. Quanto ai crimini di guerra, quando la Corte Penale Internazionale ha annunciato di voler aprire un’indagine, gli Stati Uniti di Trump hanno sanzionato la Corte Penale Internazionale, una decisione questa abominevole, che, fortunatamente, l’amministrazione Biden ha annullato. Perlomeno in Australia, un whistleblower di nome David McBride ha denunciato i crimini di guerra delle truppe australiane, ma ovviamente parliamo solo della brutalità dei talebani.»
Come scrivi nel libro, agli albori delle pubblicazioni di Wikileaks sei stata colpita dal coraggio e dall’indipendenza che aveva dimostrato l’organizzazione quando, nel 2007, non si piegò alla richiesta del Pentagono di rimuovere dal suo sito il manuale operativo della task force di Guantanamo, la famigerata prigione statunitense. Questo, come scrivi, era davvero un barlume nel buio del giornalismo di quegli anni, il quale ha avuto una grande responsabilità nella “guerra al terrorismo” visto che, tante volte, non ha mostrato alcuna forma di scetticismo nei confronti delle manipolazioni del governo statunitense. Da quel 2007, tante altre sono state le guerre: pensi che, nel modo di raccontarle, sia cambiato qualcosa nel giornalismo? Poteva cambiare concretamente qualcosa se, invece, i giornali tradizionali avessero dato più visibilità alle pubblicazioni di Wikileaks?
«Il giornalismo può fare tanto, se non è asservito al potere. Le rivelazioni di WikiLeaks hanno permesso per la prima volta di aprire uno squarcio in quello che io chiamo il Potere Segreto, ovvero il potere schermato dal segreto di Stato, usato non per proteggere la sicurezza dei cittadini, ma per nascondere i crimini di Stato – come le scelte criminali alla base della guerra in Iraq, le torture, i crimini di guerra in Afghanistan e in Iraq – e per garantire l’impunità agli uomini delle istituzioni che li commettono. Se dopo l’11 settembre, i media tradizionali avessero investito molte energie e risorse nell’esporre la criminalità di Stato, forse, avremmo evitato guerre come quella in Iraq e di certo non saremmo stati 20 anni in Afghanistan.»
Wikileaks è stata la prima organizzazione mediatica a basare sistematicamente il proprio lavoro sulla crittografia, volta a proteggere maggiormente l’anonimato dei whistleblowers. Del resto, questi ultimi, sanno bene che nel denunciare rischiano tantissimo e, come scrivi nel libro, per proteggersi possono sperare in due cose: o riuscire a rimanere nell’anonimato, oppure fare l’opposto, ovvero uscire allo scoperto e sperare nel sostegno dell’opinione pubblica. Sembra dunque estremamente necessario, visto anche il recentissimo caso di Daniel Hale, che vengano create delle leggi apposite per tutelare i whistleblowers, in modo che questi siano tutelati dagli stessi governi. Perché è fuori da ogni logica che ad essere condannato sia chi denuncia e non chi compie i crimini o gli abusi che vengono denunciati. Ma è realisticamente possibile una legge del genere? Quale governo sarebbe disposto a fare questo? Quale governo, sotto le proprie apparenze, non nasconde qualche segreto che non vorrebbe fosse rivelato in alcun modo all’opinione pubblica?
«Tutti i governi hanno segreti. E alcuni sono pienamente legittimi. Quando il segreto di Stato viene usato per proteggere la sicurezza di una centrale nucleare o di un aeroporto, è un segreto legittimo. Quando invece viene usato per proteggere la criminalità di Stato non lo è. La prima lezione da imparare, dunque, è che non tutti i segreti sono uguali. E’ inaccettabile usare il segreto di Stato per proteggere criminali di guerra, torturatori, stragisti e individui come gli agenti della Cia che, con il programma delle extraordinary rendition, sono andati in giro per il mondo a sequestrare presunti sospetti per torturarli. I cittadini non hanno alcuna chance di scoprire questo tipo di criminalità di Stato, di altissimo livello, a meno che qualcuno dal profondo delle agenzie governative implicate – che sia la Cia o il Pentagono o i servizi segreti italiani – emerga dal buio del segreto e riveli questi crimini, fornendo documentazione che consenta di provarli. Si chiamano whistleblower e sono i miei eroi. Gente come Chelsea Manning, per esempio, che ha passato 8 anni in prigione e ha tentato di suicidarsi 3 volte, per aver consegnato a WikiLeaks i documenti segreti del governo americano che hanno permesso di rivelare, tra le altre cose, 15mila vittime civili nella guerra dell’Iraq, mai conteggiate prima. Leggi a protezione dei whistleblower esistono in varie nazioni, tra cui gli Stati Uniti, ma proteggono i whistleblower che rivelano truffe bancarie, corruzioni, e criminalità di questo tipo. Si tratta di estendere queste leggi per proteggere chi rivela la criminalità di Stato ai più alti livelli. Non esiste democrazia, se non c’è la possibilità di rivelare i crimini di Stato e di farlo in modo sicuro, senza dover mettere a repentaglio la propria vita e la propria libertà. Nei regimi autoritari non è possibile farlo senza finire ammazzati o in galera per sempre. In democrazia deve essere possibile.»
Come ultima domanda, vorrei toccare un tema molto amaro ma che ci riguarda veramente tutti. Tra poco più di un mese si svolgerà il processo di appello per l’estradizione del giornalista Julian Assange. Finora, sembra che le cose stiano andando veramente male: con l’udienza preliminare dell’11 agosto sono stati accolti tutti i punti dell’appello presentati dall’accusa statunitense. Di certo nessuno ha la sfera magica per leggere il futuro, ma vorrei chiederti lo stesso cosa pensi che succederà. In caso di estradizione, ci sarà almeno la possibilità di appellarsi alla Corte Europea dei Diritti Umani?
«Posso dire con grande sincerità che la situazione di Julian Assange mi tiene sveglia la notte. Ero lì fin dall’inizio, ho visto come la sua vita e la sua salute sono state distrutte, perché ha avuto il coraggio di rivelare crimini di guerra come quelli che si vedono nel video Collateral Murder, torture come quelle documentate negli Iraq War Logs, abusi come quelli che emergono dai file di Guantanamo. E’ questa la sua unica colpa. L’unica ragione per cui rischia l’estradizione negli Stati Uniti e la prigione a vita. Posso dire senza mezzi termini che non ho alcuna fiducia nella giustizia inglese né in quella americana. Come si può avere fiducia, dopo che la giustizia inglese e quella americana hanno dimostrato di lasciare i torturatori liberi come l’aria, mentre invece un giornalista come Julian Assange non ha più conosciuto la libertà dal 2010, dopo aver rivelato crimini di guerra, torture, uccisioni stragiudiziali? L’unica chance che il fondatore di WikiLeaks potrebbe avere è la Corte europea dei diritti dell’Uomo, ma riuscirà a opporsi all’estradizione ricorrendo ad essa in tempo per evitare l’estradizione? Non è scontato. La mia battaglia legale con il Foia mi ha permesso di acquisire documentazione che dimostra che nel caso svedese – l’inchiesta per presunto stupro, archiviata per sempre dalla Svezia nel 2019, dopo averla tenuta per ben 9 anni alla fase preliminare senza mai rinviare a giudizio Julian Assange o scagionarlo una volta per tutte – le autorità svedesi avevano contattato quelle inglesi per discutere come estradare il fondatore di WikiLeaks subito dopo la sentenza della Corte Suprema inglese, senza permettergli di ottenere le misure protettive della Corte Europea dei diritti dell’Uomo. Mi chiedo: gli Stati Uniti tenteranno di fare lo stesso? La vita di Julian Assange è appesa a un filo. E io temo sia per lui, sia per tutti i giornalisti, tecnici e collaboratori di WikiLeaks. Abbiamo lavorato insieme, loro per WikiLeaks, io per il mio giornale – prima l’Espresso e la Repubblica e poi oggi per il Fatto Quotidiano – per oltre 10 anni. Abbiamo pubblicato in partnership centinaia di migliaia di documenti segreti. Come me, l’hanno fatto decine di giornalisti di grandi media, dal New York Times al Guardian: hanno pubblicato gli stessi file. Nessuno di noi giornalisti tradizionali è stato mai arrestato o anche solo interrogato. Come si può accettare che Julian Assange e i giornalisti, i tecnici e altri collaboratori di WikiLeaks, invece, finiscano per sempre in una prigione? E’ una mostruosa ingiustizia, come scrive il grande Ken Loach nella prefazione al mio libro.»
https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/309-topnews/85781-il-caso-assange-l-afghanistan-e-l-11-settembre-2001-intervista-a-stefania-maurizi.html