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“Muoiano fede, lealtà e diritto”. Nel Tieste di Seneca l’orrore e l’abiezione del Potere assoluto

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Inorridire. Riflettere. La saggezza del grande filosofo, la sua visione del mondo e dei rischi del potere dispotico si riverbera tutta nell’acatartica tragedia Tieste, una delle opere più ardue da rappresentare, per la ferocia dell’inudibile atto di un degno discendente della stirpe di Tantalo. L’ombra di Caligola e Nerone si proietta sinistramente sulla vicenda inenarrabile dell’assassinio del despota Atreo, uccisore dei figli del fratello Tieste a cui, inconsapevole, orrore estremo, tale da capovolgere il sistema planetario, dà a banchettare le carni dei suoi figli, il loro sangue innocente, chiamato a lavare le colpe del padre, colpevole di avergli usurpato il regno e la moglie. L’odio di una famiglia immonda e la conseguente vendetta insozzeranno ancora una volta le mense, destinate a un pasto orrorifico.

La truce vicenda ha il suo incipit nel diabolico piano di Atreo che attira in patria il fratello Tieste e i suoi figli con il luccichio di una finta riconciliazione. In realtà il malnato vuole vendicarsi dei torti subiti dal fratello. Tieste dubbioso esita, ma poi incoraggiato e sostenuto dai figli, ritorna a riabbracciare la sua patria e il fratello mendace. Il disegno mostruoso di Atreo si dispiegherà così in tutta la sua nefandezza. Dopo l’assassinio dei nipoti, l’orrido pasto imbandito al padre inconsapevole a cui spietatamente Atreo svela l’arcana consistenza del pasto, chiuderà il dramma in un finale inconsolabile. Il male travolge ancora la storia di una famiglia e insozza la memoria degli uomini, senza scampo.

Per la prestigiosa produzione del Teatro della città di Catania, nell’ambito del SummerFest, a dare vita a questa tragedia, unica a non averne la corrispondente in Grecia (tutte andate perdute), due grandi protagonisti della scena: Giuseppe Pambieri, artatamente aggressivo e spietato, e Paolo Graziosi, debole vittima devastata dal dolore, chiamati a incarnare Atreo e Tieste, affiancati degnamente da un misurato e intenso Sergio Basile, un Tantalo/narratore non privo di sfumature umoristiche,  dalla insinuante Furia di Elisabetta Arosio e dalla vibrante umanità del Nunzio di Roberto Baldassari.

La regia minimalista di Giuseppe Argirò (in scena riduce anche il numero dei figli da tre a uno) consegna un prodotto elegante, asciutto, senza sbavature, senza eccessi, tracimante in toni dimessi, dove l’ironia a tratti spezza i barocchismi dell’opera, pur mantenendo la forza del testo. Persino nell’ardua scena conclusiva la tensione si abbassa, forse troppo. Tieste, siede annichilito alla tavola maledetta mentre soccombe alla malvagità del fratello, in uno stato di totale inerzia, davanti alle teste e alle mani mozzate dei suoi figli, davanti a tanta inimmaginabile crudeltà.  Il pathos declina a favore di una scelta di contenimento degli eccessi.

Indagare il labile confine tra il bene e il male, le abiezioni dei totalitarismi, ha condotto Seneca a esplorare in quest’opera un atto estremo, laddove esplode la sete di potere rovesciando i valori, detronizzando gli dei, divorando affetti e pietas, in un capovolgimento desolante, in un baratro senza fine. Tale è la vita degli uomini quando la tirannide impone le sue malefiche mani sulle teste dei sudditi inermi, inerti davanti allo scempio della loro libertà. Seneca conosceva perfettamente le abiezioni del potere. I suoi rapporti con Caligola e Nerone lo avevano portato all’atto estremo della congiura di Pisone, ordita contro Nerone, e al conseguente suicidio.

Il tema dei rischi dell’abuso di potere è più che mai attuale nel panorama internazionale e il  Tieste rappresenta un monito a non sentirsi mai completamente al sicuro, ma a mantenere sempre alta la guardia, contro i possibili rovesciamenti delle nostri sorti. La saggezza degli antichi filosofi ci soccorre, spalancando scenari che fanno pensare a L’ancella, romanzo distopico e inquietante di Margaret Atwood del 1985, dove le donne in un tragico futuro ritornano ad essere vittime del potere maschile.

Alcune apprezzabili riflessioni sulla condizione umana di cui il testo è punteggiato tuttavia fanno trapelare l’auspicabile scelta di una vita nobile e serena, un ideale a cui l’autore non rinunciò fino alla morte.

 

TIESTE

di Seneca

Regia di Giuseppe Argirò

Con Giuseppe Pambieri, Paolo Graziosi, Sergio Basile, Elisabetta Arosio, Roberto Baldassari, e con il giovane Raffaele Santabarbara 

Produzione Teatro della Città – Centro di Produzione teatrale

Alle Ciminiere di Catania

“Muoiano fede, lealtà e diritto”. Nel ‘Tieste’ di Seneca l’orrore e l’abiezione del Potere assoluto


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