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haiti 2021 immagini del terremoto

Haiti: il silenzio carico di futuro. I media accendano un riflettore

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Haiti non è solo una nazione devastata dal terremoto ma un paese che già versava in condizioni disperate: la carenza di infrastrutture è cronica in una nazione che ha subito 300 anni di schiavitù, una guerra d’indipendenza, un fortissimo debito estero che ha pesato sul paese fino a metà Novecento.”

Lucia Capuzzi, Haiti. Il silenzio infranto, Marietti, 2010

L’autrice ha scritto queste parole oltre dieci anni fa, sintetizzando in una battuta cause ed effetti, prossimi e remoti, incastonati nella storia di Haiti. Sembra scritto pochi giorni fa e suona tremendamente attuale. Pare ancora che ci sia come qualcosa di immutabile nella impressione che si ha di Haiti, come se il paese fosse fuori dal tempo, come se non potesse mai cambiare e fosse, di conseguenza, mi si passi l’espressione, “senza speranza”.

Ad Haiti, invece, il tempo scorre, il sangue altrettanto, le aspirazioni a stringere tra le mani la propria parte di sogni, e a poco più di dieci anni dal precedente sisma, la vita si barcamena tra le ennesime devastazioni causate dalla natura e il tentativo messo duramente alla prova di una ricostruzione, di fatto mai terminata, ma anch’essa sospesa.

Volete dei numeri?
Dieci anni fa le vittime del sisma furono oltre 200.000, qualcuno azzarda 260.000 con oltre 4 milioni di persone coinvolte nel disastro. Di queste un milione e mezzo le persone che si ritrovarono a vivere in condizioni precarie, in quella ricostruzione che non è di fatto partita con sguardo propositivo e lungimirante. Stavolta le persone che hanno perso la vita sono arrivate ad oggi (18 agosto) a circa 2000 con quasi 10000 feriti.

Per i media, però, pare ci sia altro di cui dibattere, e, senza voler dettare priorità tra le tragedie odierne che il mondo ci offre, ci si aspetterebbe quanto meno una parvenza di copertura mediatica simile a quanto accade in queste ore convulse in Afghanistan, al quotidiano bollettino circa il Covid-19, o ai roghi appiccati nel nostro Bel Paese, solo per citare quanto appare a tratti ossessivo sui media.

Haiti case crollate durante il terremoto di agosto 2021
@ scalabrini.net

Se non fosse per la buona volontà di voci indipendenti, in genere appartenenti al mondo del non-profit, a raccontare e documentare Haiti non ci sarebbero poi molti. I servizi informativi “all news” si limitano al più a far scorrere in sovrimpressione il tragico e crescente numero di morti e feriti che il terremoto ha raggiunto in questo caldo agosto del 2021.

Sale la frustrazione, perciò, in chi cerca e crede in una comunicazione davvero globalizzata, nel senso più positivo e propositivo che possiamo attribuire al termine, a tutti i livelli. Su Haiti è calato quel “silenzio menefreghista o cinicamente disilluso” che dovrebbe provocare un po’ di imbarazzo nei “professionisti” della comunicazione, oggi come dieci anni fa.

Gli haitiani, i veri protagonisti di questa storia si sentono comprensibilmente esclusi dai giochi, impoveriti una volta ancora e più di quanto la storia abbia già inflitto loro. La popolazione continuamente allo stremo manca di amplificatori solidali; il paese sconvolto ciclicamente fatica a sostenere lo sguardo fisso verso il domani; l’emergenza fame, più acuta che mai, è diventata “cibo quotidiano” per questo popolo reso muto nella sua dignità.

Le rare immagini trasmesse negli ultimi anni rappresentano un’umanità impoverita e dolente, sì, ma orgogliosa e capace di guardare oltre ad un futuro dove essere protagonisti. Una “risurrezione è possibile” – è sempre Capuzzi ad affermarlo nel suo volume – poiché c’è vitalità, soprattutto tra i giovani che sono stati in grado di inventarsi radio improvvisate e comitati di studenti universitari con voglia di fare: forze da incanalare bene “perché Haiti non è un’isola senza speranza”, chiosa Capuzzi.

Anche se la società civile, dopo il sisma, si è rianimata, e la catastrofe di allora ha fatto scattare energie inaspettate, lo Stato sembra non abbia assecondato questo sforzo, fino ad arrivare all’attentato di inizio luglio che ha visto venire meno la guida del Paese: il presidente Moïse è stato infatti assassinato in un periodo di grandi scontri a Port-au-Prince, durante i quali erano state uccise diverse persone.

I riflettori però meritano davvero di volgersi verso i Caraibi perché nella storia di Haiti c’è un po’ di tutto: colonialismo, rivoluzione, occupazione, dittatura, colpi di stato, ingerenze di vario tipo, legami di dipendenza, catastrofi naturali. In questo angolo dei Caraibi, molti mondi e molti tempi collidono: Europa e Africa, Nord America e America Latina, il periodo coloniale e l’età della tecnologia, l’epoca dello schiavismo e quella della globalizzazione.

Haiti, nonostante tutto, però, può ricordare con orgoglio la rivolta degli schiavi africani contro i coloni francesi, il successo della rivoluzione, i suoi eroi, la proclamazione dell’indipendenza e la nascita della prima repubblica nera, abitata da uomini liberi che un tempo erano stati schiavi, proprio nel “cortile di casa” degli Stati Uniti.

Haiti è sempre stata la più moderna delle nazioni, con una rivoluzione portata a termine con successo dagli schiavi africani contro una potenza europea, primo movimento di liberazione terzomondista.

Haiti è stata al centro della prima globalizzazione, punto di arrivo del commercio degli schiavi africani ma anche perno dell’economia coloniale fondata sullo sfruttamento del lavoro e della terra in vista dell’esportazione delle ricchezze su scala intercontinentale.

Haiti non è mai stata fuori dal tempo; sempre profondamente immersa nelle dinamiche geopolitiche che, nel tempo, ne hanno influenzato lo sviluppo.

Prendere coscienza di questi dati è un primo passo che noi comunicatori possiamo fare per restituire al paese il posto che le spetta nella storia dell’umanità e seguirne “curiosi” le prospettive future.

 

Padre Gabriele Beltrami é direttore dell’Ufficio Comunicazione degli Scalabriniani

 


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