Raggiungiamo al telefono la giornalista Barbara Schiavulli, esperta conoscitrice dell’Afghanistan. In queste ore sta aspettando il visto per partire di nuovo per Kabul. E’ tornata neppure un mese fa, ma con il precipitare degli eventi ha deciso di andare nuovamente.
Di fronte all’avanzare dei talebani e al silenzio della comunità internazionale, è fondamentale raccontare quanto sta succedendo nel Paese e la condizione della popolazione. Potremo ascoltare il racconto di Barbara su Radio Bullets e leggere i suoi articoli su La Repubblica.
Quale situazione ti aspetta in Afghanistan?
Al momento attuale i talebani hanno conquistato 12 delle 34 province afghane. Hanno preso i capoluoghi e le città più grandi. Questo significa che hanno già il controllo di una buona parte del Paese. La città che manca è Mazar-i-Sharif, al nord. E qualora cadesse prenderebbero completamente tutto il nord, e mancherebbe la capitale Kabul. Ma non è detto che la vogliano. Potrebbero accontentarsi e fermarsi prima per avanzare delle trattative dove loro avranno il coltello dalla parte del manico. Fino ad adesso non hanno detto esplicitamente quale sia il loro obiettivo. Sappiamo che desiderano costruire un emirato islamico, nonostante l’Afghanistan sia già una Repubblica islamica. Molti afghani, e io con loro, si stanno chiedendo cosa vogliano, cosa debbano essere di più per poter piacere ai telabani.
Ma quindi a cosa stanno puntando veramente i talebani?
Non è chiaro. Molti ritengono vogliano distruggere l’attuale governo e mettersi in alcuni punti chiavi del nuovo. Per farlo dovranno far fuori il presidente Ghani, che ritengono un fantoccio nelle mani degli americani, ma in realtà, per come si sono comportati gli stessi americani, questo Presidente è molto meno di questo.
L’alternativa peggiore a questo primo scenario è invece che vogliano far fuori tutti gli oppositori e prendersi completamente il potere. Questo spaventa moltissimo quella parte di società civile afghana che è cresciuta, in termini di diritti e possibilità, in questi venti anni. Se è vero infatti che nelle zone rurali e agricole – che sono anche quelle cadute più facilmente nelle mani dei talebani- le condizioni di vita non sono molto cambiate, invece nelle grandi città come Kabul in questi venti anni sono migliorate molto.
Ecco cosa rischiano di perdere se tornassero al potere i talebani?
In questi venti anni è stato possibile l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro e, più in generale, le persone hanno nutrito dei sogni delle speranze. Un esempio che può sembrarci scontato, ma in Afghanistan è stata una conquista: oggi ci sono 500 donne che guidano; e oltre a guidare possono studiare, possono andare all’università, insegnano. Prima era vietato.
Nel Paese ci sono attivisti per i diritti umani e giornali indipendenti. E una misura del fatto che i giornali sono davvero indipendenti é il terribile numero di giornalisti uccisi nell’ultimo anno: 12. I talebani non amano la cultura, lo sport, il governo. Sanno bene che per controllare un popolo il modo migliore è tenerlo analfabeta. Nel loro mirino quindi ci sono attivisti, atleti, intellettuali, giornalisti, persone del governo e, in particolare, le donne.
E la comunità internazionale sembra svegliarsi adesso, allarmata dalle persone in fuga. Guardando lo scacchiere internazionale cosa ti aspetti che succeda?
Trovo inaudito il comportamento degli americani. Hanno abbandonato il Paese ai talebani e questo è vissuto dagli afghani come un vero e proprio tradimento. I talebani invece, diversamente da 20 anni fa, ora hanno aperto delle trattative. Sono a Doha; sono andati in Cina. I cinesi, dal canto loro, che sono già nel Paese, nell’economia afghana e costruiscono strade. D’altronde l’Afghanistan è in una posizione cruciale, centrale nella Via della Seta. La Russia invece è molto preoccupata perché i talebani sono un’organizzazione estremista e infatti ci sono stati già movimenti di forze armate al confine con il Tajikistan. I talebani guardano all’Iran, ammirandone il modello politico. E in tutto questo sappiamo che a finanziarli sono i servizi segreti pakistani e sappiamo anche che il Pakistan é alleato degli Stati Uniti. E’ quindi uno scacchiere molto difficile e complicato. Gli unici che perdono – e su questo non c’è dubbio- sempre sono gli afghani.
E come dobbiamo leggere il silenzio europeo?
Trovo abbastanza disdicevole che l’Europa si preoccupi solo degli afghani che scappano da questa situazione . Anche noi italiani siamo stati quasi 18 anni in quel paese, spendendo soldi dei contribuenti, versando sangue di giornalisti come Maria Grazia Cutuli, dei militari o degli operatori umanitari. Un generale afghano mi ha confidato di “non riuscire più a dormirci la notte” al pensiero di quanto sta accadendo. La brutta figura sembra farla solo l’esercito afghano che è stato addestrato per 20 anni e che ora cade sotto ai talebani. Ma il punto è che gli americani per 20 anni hanno fatto solo da babysitter. Ma né loro né nessun altro ha combattuto la corruzione e l’incompetenza del Paese. E’ difficile quando uno stato così debole deve confrontarsi con una struttura compatta come quella dei servizi segreti pakistani.
Ora sei di nuovo in partenza…
Un mese fa ero andata per raccontare la società civile e le donne e quello che avrebbero dovuto affrontare se fossero tornati i talebani. Ora siamo di fronte ad un capitolo completamente diverso della storia del Paese. Se i talebani riconquisteranno il Paese sarà così. E’ tutto precipitato ad una velocità che nessuno immaginava. Alcune città sono cadute senza che quasi un colpo fosse sparato, a dimostrazione di una volontà di consegnare una parte del Paese nelle mani talebane. L’ambasciata americana sta evacuando il personale non essenziale e altre stanno facendo lo stesso. Ma è un momento in cui non bisogna spegnere il riflettore. E’ importante anche per non lasciare soli i colleghi afghani. Bisogna raccontarlo, ma non basta farlo da fuori. Bambini, anziani, donne ci dicono che si stanno comportando non come un’altra forza che subentra, ma come dei militanti, con esecuzioni, rapimenti di giovani donne per farne spose, con sete di vendetta nei confronti di chi ha collaborato con le forze straniere. Per questo bisogna essere lì e raccontare, tenere accesi i riflettori.