A Genova, vent’anni fa, vennero uccise e calpestate le speranze di un’intera generazione. Tuttavia, per comprendere meglio cosa avvenne in quei giorni d’orrore e d’abisso, la chiave femminista è una delle più interessanti. Come spiega infatti Jennifer Ulrich, la Alma Koch protagonista del film “Diaz” di Vicari, nel luglio del 2001 le forze dell’ordine sfregiarono la bellezza delle manifestanti nel tentativo di umiliarle e di annientarne la passione politica e civile. Per fortuna ci sono riuscite solo in parte, e quella donna fiera, che non perde mai la forza dei suoi occhi nemmeno di fronte all’abisso e riesce a trovare persino il coraggio di sorridere dopo aver provato sulla sua pelle le conseguenze della “più grave sospensione dei diritti democratici in Europa dopo la Seconda Guerra mondiale”, è diventata l’icona di milioni di ragazze e ragazzi che, nonostante tutto, ancora resistono e si battono un mondo più giusto.
Quando si è svolto il G8 avevi 17 anni. Che effetto ha avuto su di te assistere a scene così drammatiche in un paese democratico?
Purtroppo le notizie sul vertice del G8 e soprattutto su quello che è successo alla DIAZ non mi sono arrivate in Germania. Prima di tutto, perché avevo 16 anni e non ero politicamente interessata all’epoca come lo sono oggi. In secondo luogo, perché le notizie non si sono diffuse come accade oggi con i social media, gli smartphone e i blog di notizie online. Infine, perché poco dopo il vertice del G8 c’è stato l’11 settembre e le notizie su Genova, DIAZ e Bolzaneto sono quasi scomparse mentre la copertura mediatica si concentrava sugli Stati Uniti.
Quindi, in sostanza, personalmente non ricordo nulla del vertice del G8. Leggere la sceneggiatura è stato il mio primo contatto con l’intera storia di Genova e del G8. E sono rimasta scioccata. Sono rimasta scioccata dal fatto che qualcosa del genere potesse accadere in Europa, in uno stato democratico. Sapevo, dal momento in cui l’ho letto, che volevo farne parte perché ho sentito subito la necessità di raccontare questa storia e di dare voce alle vittime.
Come sei stato scelto per il film di Vicari? Nonostante fosse un film, le tue espressioni sembravano molto genuine e si aveva l’impressione di vedere un terrore autentico sul tuo volto, come se fossi in mezzo all’inferno della Diaz e di Bolzaneto. Come ti sei sentita mentre giravi queste scene strazianti?
Daniele Vicari mi aveva visto in “L’onda”, un film sul fascismo e il suo facile ingresso nella società. Gli è piaciuto molto il film e la mia interpretazione e così lui e Laura Muccino mi hanno invitato a Roma per conoscerci e parlare della storia e dei pensieri di Daniele sulla sceneggiatura e sul mio personaggio. Daniele e io ci siamo trovati in sintonia fin dal primo momento. Penso che entrambi abbiamo sentito la passione l’uno dell’altra per la storia e abbiamo condiviso il bisogno di raccontarla sinceramente.
Questa sensazione era continuamente presente sul set. Ogni persona che ha lavorato a questo film ne ha compreso l’importanza e ne è stata appassionatamente coinvolta. Abbiamo avvertito che significa davvero qualcosa e che va oltre il solito intrattenimento di un film.
Molte di quelle scene mi hanno davvero spezzato il cuore, sapendo nel profondo di me che è successo realmente e che è stato anche peggio di quello che potevamo mostrare, senza perdere la fiducia degli spettatori nella verità della nostra storia. Il mio ruolo era molto fisico e quindi il mio corpo era per lo più dolorante per aver interpretato questo personaggio sotto costante pressione e sofferenza. È stato un lavoro intenso e quelle urla di persone straziate mi perseguitavano da tempo, ma mi sentivo al sicuro, compresa e molto ben guidata da Daniele Vicari e dalla sua visione.
Nel film interpreti il ruolo di Alma Koch, un’attivista pacifica e idealista che viene letteralmente massacrata. Cosa ha significato per te, come donna, subire, seppur finte, atroci umiliazioni come quelle che abbiamo visto in Diaz?
Ovviamente le donne sembrano più fragili e vulnerabili degli uomini sottoposti a torture del genere, ma se guardi “Black Block” di Carlo A. Bachschmidt o parli con alcune delle vittime vedrai che l’orrore mentale e psicologico perseguita sia gli uomini che le donne, molto probabilmente con la stessa intensità. Togliere la dignità a qualcuno è ugualmente crudele per ogni essere umano.
Ovviamente, tuttavia, subire la tortura come donna attraverso l’abuso della falsa mascolinità mostra anche un aspetto fisico più inquietante e pericoloso. Per quanto ne so, questi poliziotti erano particolarmente violenti con le giovani donne attraenti per dimostrare il loro potere su di loro. Erano concentrati nel picchiarle in faccia per distruggere la loro bellezza e umiliarle. Ecco perché abbiamo cercato di contrastarlo mostrando una donna che non perde mai completamente la forza nei suoi occhi e non dà loro il potere che desideravano così disperatamente.
Hai mai avuto l’opportunità di parlare con qualcuno che ha subito personalmente quell’abisso? Come ne hai tratto ispirazione e dove ha prevalso, invece, la tua libertà di espressione artistica?
Il mio personaggio è principalmente basato su una donna ma anche su un mix di molte altre persone e sulle loro storie. Volevamo racchiudere questa parte dolorosa della storia in un unico personaggio per mantenere l’attenzione e rendere più facile per il pubblico identificarsi con i sentimenti che volevamo suscitare attraverso Alma.
Non ho incontrato nessuna delle vittime prima di girare il film. Mi sono completamente fidata di Daniele che le ha conosciute e intervistate in precedenza. Ha detto che molte di loro stavano ancora soffrendo al momento delle riprese e la donna su cui abbiamo basato il personaggio aveva appena iniziato una nuova fase della sua vita. Daniele ed io abbiamo deciso di non contattarla per le mie ricerche per darle la pace che tanto merita. Mi affidavo completamente a Daniele che trasmetteva insieme tutte le informazioni di cui avevo bisogno per creare un personaggio e il suo viaggio emotivo.
Mi è stata data l’opportunità di incontrare alcuni di loro dopo che il film è stato girato e così ho potuto parlare con loro dei sentimenti e delle impressioni che avevano in merito a quei giorni nel 2001.
Cosa è cambiato nella tua vita dopo il successo di questo film? Che genere di attrice ti consideri oggi?
Questo film ha cambiato molto nella mia vita. Ha reso l’Italia ma soprattutto Roma la mia seconda casa, mi ha spinto nel mondo del cinema italiano, mi ha consentito di imparare l’italiano e di farmi amici per la vita, ma soprattutto ha affinato immensamente la mia visione critica della società, delle istituzioni ufficiali e della giustizia.
Come attrice, ho numerose opportunità di interpretare anche ruoli più di intrattenimento, ma la mia parte preferita è ancora raccontare storie socialmente rilevanti attraverso personaggi emotivamente avvincenti.
I diritti delle donne e dei migranti, il rispetto dell’ambiente, la solidarietà internazionale: qual è l’importanza di questi principi nella tua vita quotidiana?
Penso che stiamo tutti meglio se includiamo tutti questi aspetti nella nostra vita quotidiana il più possibile.