Che cos’è lo spirito critico? Di sicuro non è una fantasia di complotto, più o meno paranoide che si basa su illazioni, mescola i fatti con le supposizioni, fa leva sulle pulsioni emotive. Lo spirito critico è piuttosto la capacità di distinguere, di dare un contesto agli eventi. Davanti a una pandemia provocata da una zoonosi ( una malattia che passa dagli animali all’uomo) il punto è chiedersi quale sia il contesto economico ambientale in cui è maturata, non una tortuosa caccia all’untore, a un qualsivoglia colpevole.
Faccio un esempio concreto. Si può essere a favore della campagna vaccinale e contemporaneamente stare dalla parte di chi denuncia le speculazioni di un capitalismo aggressivo e spregiudicato che sulla malattia punta principalmente a realizzare profitti. L’altro giorno il Financial Times ha diffuso la notizia che i futuri acquisti di vaccini Pfizer e Moderna all’Europa costeranno ancora di più. Una dose Pfizer passa da 15 a 19 euro e 50, una di Moderna da 19 a 21 e 50, con una crescita rispettiva del 25 e 10%. Sui grandi media italiani la notizia quasi non è passata come pure è finito sotto silenzio il fatto che nei giorni precedenti Oxfam e Emergency avessero diffuso un rapporto delle People’s Vaccine Alliance in cui si stimava che il costo industriale per una dose andasse da uno a tre dollari . Il rapporto diceva anche che gli stati ricchi potrebbero arrivare a pagare nel 2021 41 miliardi di dollari a Pfizer e Moderna, malgrado avessero finanziato la ricerca delle compagnie farmaceutiche con 8 miliardi e 200 milioni. Il tutto consentirà a queste due multinazionali di realizzare utili che potrebbero arrivare a 24 volte le spese sostenute.
Ma il silenzio su questi dati di fatto cosa comporta? L’assenza sui grandi media di qualsiasi dibattito pubblico sulla questione brevetti e vaccini che effetti produce? Il primo risultato è che il campo del dubbio e della insoddisfazione è lasciato completamente nelle mani di chi parla a sproposito di “dittatura sanitaria” e si propone di mobilitare le piazze indifferentemente contro lockdown, mascherine, vaccini, green pass. Anzi si è giunti persino al paradosso, quasi che fosse una cosa normale, che quelli che 6 mesi fa reclamavano i vaccini per riaprire bar e ristoranti ora protestano contro le certificazioni vaccinali definendole una “discriminazione”.
Guardate che discriminazione è una parola importante, indica l’esclusione e la separazione, è quella che subiscono le minoranze colpite dalle leggi razziali. L’esatto opposto di quella inclusione su cui abbiamo concentrato l’attenzione nel Laboratorio di formazione per operatori dell’informazione organizzato a Padova con l’apporto dell’Università, del Sindacato Veneto dei Giornalisti, la Fnsi, Articolo 21.
E qual è la discriminazione vera oggi esistente nel mondo? Qual è l’ingiustizia fondamentale? Sicuramente quella fra chi ha la fortuna di vivere in uno Stato che può permettersi alti livelli di spesa sanitaria e chi invece abita in nazioni che non dispongono delle risorse indispensabili per prevenire la malattia.
Ma noi questa discriminazione proprio non la vediamo. Non è al centro della discussione pubblica. Pur disponendo di una mole enorme di prove sul fatto che una mancata campagna vaccinale globale determini l’insorgere di continue varianti virali, non siamo in grado di far emergere una narrazione alternativa a quella dominante, in primo luogo perché non ne parliamo.
Così diventa fin troppo facile per la destra cavalcare la parola libertà, monopolizzare le insoddisfazioni presenti nella nostra società. Ce la può fare perché l’orizzonte diventa soltanto individuale, personale, al massimo etnico razziale. La cancellazione di un Noi allargato alla umanità porta a cascata la difficoltà a dare risposte forti, in grado di intaccare le vere falle del sistema. Prevalgono la ricerca di capri espiatori più o meno a caso, le soluzioni facili, non si aggrediscono mai le storture vere.
E’ così che trova spazio il “cospirazionismo paranoide”. E’ bene tenere presente che i veri complotti esistono ma sono localizzati, hanno dei protagonisti con nomi e cognomi, dei contorni e contesti precisi. Basti pensare alla P2 o, con riferimento a Malta e ai crimini contro l’informazione, alla povera Daphne Caruana Galizia. I mandanti di quell’omicidio ci sono, hanno una identità, sono collocati ai vertici degli apparati statali. Il cospirazionismo invece è sempre vago, indefinito, è quello dei Protocolli dei Savi di Sion, della congiura ebraica, di Qanon, della sostituzione etnica. Tutte cose che aiutano in realtà chi ha il potere economico a rimanere pieno padrone della situazione perché spostano la rabbia, il risentimento, le rivendicazioni in altre direzioni. Sostengono il sistema fingendo di combatterlo.
I giornalisti, la nostra idea di giornalismo, di impegno civile è come stretta da una tenaglia. Se parli contro gli esorbitanti profitti delle multinazionali o finisci in un cono d’ombra o vieni accusato di essere un populista nemico della libertà del mercato. Se intervieni dicendo che l’unica arma che abbiamo contro la pandemia è la profilassi vaccinale ti accusano invece di essere contro la libertà degli individui, il loro diritto a scegliere, a autodeterminarsi contro un sistema che li vorrebbe controllare\discriminare. Per questo siamo sotto attacco. E le aggressioni subite da alcuni colleghi sono ancora più inquietanti perché ledono il diritto a informare, riportare i fatti, raccontare gli eventi.
Certo il problema è anche quello di un orizzonte culturale, di una visione che sia alternativa a quella che oggi egemonizza il nostro dibattito pubblico. Lo ha colto bene Papa Francesco quando ha invitato a promuovere la diffusione dei vaccini in tutto il mondo, ha sollecitato l’informazione a allargare lo sguardo a non parlare sempre delle stesse cose.
Io credo molto all’importanza dell’accuratezza, di corrette scelte lessicali, ma anche di categorie interpretative della realtà che siano frutto di una riflessione approfondita. Se usi il linguaggio degli altri hai già perso in partenza. Perché non sostituire ad esempio la tanto abusata parola libertà con il termine arbitrio? E’ un termine con un doppio volto. Ce lo ricorda il dizionario Treccani. Noi tutti rivendichiamo il nostro “libero arbitrio” ma quando subiamo un abuso, una decisione che non condividiamo, diciamo subito di essere vittime di un arbitrio. Il problema allora non è la libertà ma è chi decide, come si decide, se ci sentiamo o meno parte di una comunità che sceglie insieme il suo futuro.
Non tutti i no pass sono fascisti, è evidente. Non tutti sono ispirati alla spavalderia del “Me ne frego” . Ma a una comunità ci si rivolge coinvolgendo la popolazione. Lo ha fatto in Nuova Zelanda la premier Jacinda Arden che invece di parlare sempre e solo di regole e divieti ha ribaltato la prospettiva proponendo alla cittadinanza una mobilitazione comune basata sulla ricerca di una risposta alla domanda: cosa possiamo fare per contrastare il virus? Come possiamo difenderci? Non c’erano Soloni a spiegare o a dare ordini al popolo, ma una sincera ricerca comune di vie d’uscita. Lì ,in Nuova Zelanda, con il consenso di tutte le forze politiche, sono riusciti a chiudere una città come Auckland, un milione e mezzo di abitanti, per un caso di Covid. Così hanno arginato il contagio e vissuto una vita più normale della nostra. Ma ve la immaginate da noi una decisione simile, assunta col consenso di tutte le forze politiche?
La parola chiave insomma è mobilitazione. Solo coinvolgendo le persone si può uscire da quella tenaglia che descrivevo prima. Stabilendo alleanze e convergenze con tutte le associazioni che si occupano di lotta alle disuguaglianze, cura della persona, salute. Ma ci vuole anche una visione forte, alternativa. Non ci sono espressioni neutre. Facciamoci le domande giuste. Noi perché siamo a favore delle misure di prevenzione? Perché lo dice la scienza è la risposta consueta: ma quella corretta, più efficace? A parte il fatto che è da più di un secolo che le scienze si declinano al plurale io risponderei in un altro modo.
Dico che siamo a favore perché crediamo nel lavoro (sottolineo il lavoro) , duro e faticoso delle donne e degli uomini che studiano e vivono nella comunità scientifica. Il loro sapere non è un potere separato ma è frutto del pensiero umano, di una storia che parte da lontano, di quelle stesse tecnologie di cui ci serviamo in prima persona tutti i giorni. E’ un sapere provvisorio, fallace? Sicuramente, ma abbiamo fiducia in una crescita faticosa e progressiva delle nostre ( sottolineo nostre) conoscenze. Ricordando sempre che viviamo su un pianeta che non è una nostra proprietà ma è la casa di tutti noi della quale aver cura soprattutto oggi, in un’epoca sulla quale incombe il riscaldamento climatico con tutti i drammatici rischi connessi.