BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Il vestito azzurro: un libro che coinvolge profondamente, fino a commuovere o a farti indignare

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“Il vestito azzurro” di Antonella Napoli, è un libro bello, molto bello.
Per quello che racconta:  la sua esperienza personale, anche drammatica, dentro uno snodo cruciale della storia del Sudan, quale le “rivolte popolari” che portarono, l’11 aprile 2019, dopo 30 anni di dittatura, alla deposizione e caduta di Omar Hassan al- Bashir.

Per come lo racconta : usando una polifonia di registri espressivi, capaci di rendere al meglio le diverse atmosfere ei contesti emotivi  differenti, presenti nelle vicende narrate;

Per lo spirito di fondo : che ispira, anima e pervade tutto il racconto.

E’ un libro che ti coinvolge profondamente sul piano emotivo, fino a commuoverti o a farti indignare, perché ti fa rivivere, con intensa empatia, quelle esperienze e quelle emozioni dell’Africa che “ti cambiano la vita”, come, con grande efficacia, si esprime a pag. 10 : “Quando nel 2005 arrivai, per la prima volta, in DARFUR per seguire l’avvio del Progetto di assistenza umanitaria del Programma alimentare mondiale, ero entrata in una dimensione di povertà e disperazione, di terrore devastante. Lo sguardo assente delle donne, vittime di stupri, l’immagine dei bambini  la cui magrezza contrastava con i piccoli addomi gonfi, si erano impressi nella mia mente, scavando a fondo nella mia anima” .

LO SPIRITO CHE ANIMA IL LIBRO

Tutto il libro è un atto di amore, anzi un quadruplice atto di amore di Antonella Napoli:

Amore per l’ Africa: che si coglie, anzi si respira a ogni pagina, sia nelle bellissime descrizioni del paesaggio africano ( il Nilo Azzurro che confluisce nel Nilo Bianco proprio a Khartoum, capitale del Sudan, o l’incanto delle aurore africane nel Darfur), sia nell’ empatia profonda per la gentilezza e il senso dell’ospitalità delle persone comuni del Sudan, come Yusuf il tassista, Suliman l’accompagnatore negli spostamenti, Hassan ,il propietario del Rawaq,  l’albergo dove alloggia, Amane, la cuoca dell’albergo, che la chiama “Nur”, cioè “Luce”,  Amira, la moglie di Suliman, che l’accoglie e l’abbraccia come una sorella, quando ritorna dal Darfur, e che Antonella definisce “una donna mite e riservata… ma che nella sua mitezza non è dimessa, ma fiera, sicura di sé come solo le donne africane più forti sanno essere” (pag.144);
Amore per gli ultimi, i dimenticati, i dannati della terra, i senza voce: ai quali lei, con determinazione, dà voce, sia partecipando empaticamente alle loro sofferenze, sia denunciando, con forza, e facendo conoscere al mondo intero le condizioni di povertà, deprivazione, oppressione, mancanza di libertà in cui sono costretti a vivere;
Amore per la libertà, la giustizia, la democrazia, il ruolo attivo delle donne nella società: che la porta a sostenere concoraggio e decisione la “rivoluzione” contro la dittatura di al-Bashir e la liberazione delle donne dall’oppressione della legge islamica della Sharia. Questo amore sviscerato la porta, da una parte, a denunciare come le donne, in quella società profondamente maschilista, siano considerate “meno che niente” , siano vittime della repressione e della violenza più brutale, siano sistematicamente esposte a stupri e poi abbandonate a se stesse da tutti, e, dall’altra, a evidenziare ed esaltare la capacità delle donne di essere le protagoniste della “rivoluzione rosa” che porta,  l’ 11 aprile 2019, all’abbattimento della dittatura di al-Bashir e all’avvio di un processo di democrazia.  In fondo, sono le donne le protagoniste vere di questo libro che ha inizio con il ricordo di Meriam Ishag Ibrahim, condannata a morte nel 2014 per apostasia, ma poi liberata per la mobilitazione del mondo intero, grazie anche all’informazione e alla battaglia di Antonella Napoli, e si conclude con l’omaggio e il riconoscimento a: “ Alaa, Lana, Aman, Mariam al-Madhie tutte le altre ribelli che da Khartoum a Omdurman fino al Darfur avevano sfidato con coraggio i proiettili e i gas lacrimogeni e resteranno l’immagine migliore della battaglia per la libertà e la giustizia che si è compiuta nel Paese”(pag.144) .
Amore per il proprio mestiere di giornalista: che lei stessa, più che mestiere, chiama “passione”, “dovere”, “responsabilità”(pag.146) e che, dopo l’esperienza drammatica, a Khartoum, del fermo da parte dei Servizi di sicurezza del Sudan, la porta a non fermarsi e desistere dalla propria missione ma a mantenere il suo impegno di andare nel Darfur, nonostante i pericoli, perché “se non partissi chi altri racconterebbe l’inferno che laggiù si sta consumando nell’indifferenza del mondo?… un giornalista che è fedele al suo scopo ( come insegna J. Pulitzer) si occupa non solo di come stanno le cose, ma anche di come dovrebbero essere. In fondo, questo è ciò che mi ha spinto a fare il mestiere di reporter”.

RICCHEZZA E POLIFONIA DEI REGISTRI ESPRESSIVI

Il libro si fa apprezzare molto, non solo per il contenuto e lo spirito che lo anima, ma anche per la ricchezza e la polifonia dei registri espressivi che lo rendono accattivante e godibile assai.

C’è l’intreccio di quattro registri espressivi sapientemente calibrati tra loro.

In primo luogo, il registro espressivo del realismo e l’ immediatezza del REPORTAGE.

E’ quello usato per raccontare i fatti relativi:

alla “rivolta del pane” scoppiata, in Sudan, a partire dal dicembre 2018, che porta all’abbattimento di al-Bashir, l’ 11 Aprile 2019;
alla missione di Antonella Napoli d’incontrare i leader della rivolta, con l’evento drammatico, inatteso, del  suo fermo da parte dei Servizi di Sicurezza del Sudan.

E’ il registro espressivo tipico del REPORTAGE giornalistico televisivo: realistico, immediato, dialoghi brevi e serrati, ritmo veloce e incalzante.

Questi fatti ed eventi vengono, però, opportunamente e adeguatamente, sempre inquadrati in un contesto storico-geografico che dà informazioni accurate sui luoghi e sul quadro socio-economico-politico-normativo dentro cui i fatti e gli eventi si svolgono.

E qui subentra il registro espressivo dell’ organicità razionale del SAGGIO.

Dal cap. III al cap.XIII c’è l’alternarsi del REPORTAGE (i capitoli dispari)  e del SAGGIO (i capitoli pari). In questi  cinque capitoli pari, viene data un’accurata informazione sull’inizio della dittatura di al-Bashir col colpo di stato del 1989 e sul suo sviluppo sempre più oppressivo, sull’applicazione sempre più rigida della Sharia, sulla repressione nel sangue dei vari tentativi di rivolta, sulla condizione terribile delle donne, sugli stupri come arma di guerra.

Ma nei capitoli dispari, dal VII al XIII, relativi al fermo di Antonella da parte dei Servizi di Sicurezza, irrompe il registro espressivo della  suspence del  RACCONTO GIALLO.

L’ arresto, il sequestro del materiale, l’ interrogatorio nella squallida e maleodorante struttura dei Servizi, la paura e l’ angoscia che possa capitarle ciò che è toccato a Giulio Regeni, la paura e l’ansia del marito Stefano e della figlioletta Giulia, è una racconto degno di un vero thriller che tiene col fiato sospeso fino al rilascio, ma anche dopo il rilascio, avvenuto per la mobilitazione di Amnesty International, dell’ ambasciatore italiano in Sudan, Fabrizio Lobasso, del Ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi.

Il quarto registro espressivo che io definisco  POETICO LIRICO,  non perché si esprime in versi, ma perché pervaso da una carica di emozioni e commozione che fa vibrare il cuore, esplode nei capp. XIX-XXI che raccontano l’ incontro e i colloqui con donne violentate, stuprate, umiliate e abbandonate, presenti nei campi di accoglienza Zam Zam Camp, ad Al-Fashir nel Nord Darfur, e in Al Salam Camp (Campo della Pace) a Nyala, in Sud Darfur.

Sono incontri e colloqui ricchi di tenerezza e delicatezza, di pudore e sofferenza, di emozione e commozione intensa, che al di là delle parole, si svolgono soprattutto attraverso  gli occhi, lo sguardo, il volto. E’ una vera e propria magia del linguaggio del volto e dello sguardo, che mi è apparso come la traduzione poetica del discorso filosofico sul “volto” e lo “sguardo” che fa Emanuele Lévinas, il filosofo lituano-francese, a me molto caro.

“Ad Al-Fashir colpisce la forte presenza di donne vittime di stupri di guerra. Molte sono sole delle bambine. Mi scrutano con la profondità del loro sguardo” (pag.117). “Il primo incontro è con SARIMA – 11 anni – braccia esili ma spalle grosse. Mi guarda un po’ diffidente. Poi il suo viso mi regala un’espressione di una straordinaria intensità”(Pag. 114).

HAW, 25 anni, “Quando tocca alle donne è pure peggio. Quelle più fortunate come me, vengono solo violentate, altre torturate e lasciate morire come cagne, dice abbassando gli occhi. Le prendo la mano e la ringrazio per avermi raccontato la sua esperienza”(pag.118). Tenerezza e delicatezza infinite.

Poco più in là, mi colpisce AMINA, 18 anni, occhi color ebano profondi e lucenti, lo sguardo fiero(pag.118).

Al “Campo della Pace” di Nyala, la capitale del Sud Darfur, c’è l’incontro con HIBA, giovanissima donna, con una storia dolorosissima alle spalle, perché violentata e stuprata dai “diavoli a cavallo” è stata poi rifiutata dai fratelli e dalla madre e lasciata sola col bimbo nato dallo stupro subìto. “Un volto luminoso e un sorriso timido. Sguardo basso, voce flebile… mi hanno lasciato sola. Non mi hanno più voluta”, mi ha raccontato con una voce spezzata, tirando su il capo, solo in quell’istante e puntando i suoi occhi nei miei. Uno sguardo che mi ha tolto il fiato(pagg.126-128).

E IL TITOLO “ IL VESTITO AZZURRO”?

Arrivato quasi alla fine del libro non trovo traccia del Titolo “IL VESTITO AZZURRO”. Da dove è venuto, dunque, questo Titolo, mi sono chiesto più volte, mentre procedevo e andavo avanti nella lettura. La rivelazione è sopraggiunta, all’ improvviso, verso la fine dopo una pagina di intensa e drammatica emozione che mi ha procurato qualche lacrima di commozione. Non voglio svelare, però, quando questo è avvenuto, per non togliere ai lettori la gioia della scoperta e la commozione che ha invaso me.

Leggete il libro, ne vale la pena.


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