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L’inquinamento elettromagnetico di Italia Viva

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Ri-mediamo. Una nuova mossa azzardata dei parlamentari renziani. Uno spettro si aggira per la camera dei deputati.
Si tratta dell’emendamento (n.40.29) proposto dal gruppo di Italia Viva al decreto legge del 31 maggio n.77 sulla cosiddetta governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). In tale
decreto, volto ad accelerare e a snellire le procedure, con incaute deroghe persino sulle zone tutelate o sui vincoli paesaggistici, si è infilato un tentativo davvero inquietante. Vale a dire
l’abrogazione di fatto dei limiti posti all’inquinamento elettromagnetico dalla normativa italiana. Si tratta di un colpo di spugna, perché l’innalzamento del tetto dagli attuali 6Volt/ metro ai supposti 61 Volt/metro implicherebbe l’annullamento di ogni principio di cautela. Ne parlò un documentato articolo a firma Margottini e Proietti pubblicato da Il Fatto Quotidiano dello scorso 4 luglio. Ne ha discusso un incontro tenutosi sabato scorso, promosso da Lega ambiente, ricco di spunti e di proposte. Da quale cabala arriva il numero 61? La fonte utilizzata con evidente strumentalità è l’allegato 3 della Raccomandazione 1999/519/CE. Due considerazioni. In Europa è in corso una generale rivisitazione del problema, con la ricerca di definizioni più adeguate rispetto ad una realtà in vorticosa evoluzione, come la tecnologia del 5G dimostra. Inoltre, il numero evocato si riferisce solo agli effetti termici, non al valore di attenzione per le radiofrequenze. Come confondere una carrozza con un aereo superveloce. Insomma, una lettura attenta dei testi e del loro contesto sarebbe utile, per non incorrere in abbagli così clamorosi. Ma sono abbagli? Difficile crederci, vista la sequenza cui abbiamo assistito negli ultimi tempi. Già nel piano redatto da Vittorio Colao per il governo Conte bis si era ipotizzato l’incremento sostanzioso del limite. Nel parere espresso a maggioranza sul PNRR dalla commissione trasporti, poste e telecomunicazioni della camera dei deputati si era auspicato recentemente qualcosa di simile. E il sottotesto del piano appena approvato a Bruxelles contiene un’implicita speranza di rompere gli indugi. Vi è, infatti, un inno indiscriminato all’era digitale, che ha una faccia nascosta assai pericolosa per la salute delle persone. La storia inizia in Italia con l’impegnativo decreto del 10 settembre 1998 n.381, che fissò la soglia di 6Volt/metro. Diversi altri paesi seguirono e così quel prototipo fece scuola. Seguirono la legge organica sul settore (l. del 22 febbraio 2001, n.36) e il decreto del presidente del consiglio di ministri dell’8 luglio 2003. Tra l’altro, fu immaginata una autonoma potestà regolamentare delle autonomie locali, oggi ridimensionata e indebolita. Insomma, neppure i governi del centrodestra di Silvio Berlusconi osarono strappare decisioni rilevanti e coraggiose, considerate un esempio e un riferimento in Europa. Vi fu la smagliatura grave del decreto n.179 del 2012, che – come accennato diluì il periodo di misura nell’intera giornata. Però, ci si vergognò sempre di intaccare una conquista fondamentale per equilibrare diritti (comunicazione e salute) altrimenti conflittuali. Quindi, l’emendamento firmato da Nobili, Fregolent e Marco Di Maio è una sequenza di un tentativo covato a lungo, rimasto nei cassetti e ora, nell’ingordigia digitale, rimesso all’ordine del giorno. Il gruppo di Italia Viva non è nuovo a simili avventure e c’è da sperare che il colpo di mano rientri, essendo il piccolo scritto incriminato ancora tra gli emendamenti accantonati. Comunque, è doveroso alzare la testa e bloccare simili iniquità. Dobbiamo sapere, infatti, che l’indicazione viene dai piani alti del capitalismo delle piattaforme e dai suoi gestori materiali, vogliosi di imporre le nuove generazioni dei telefoni cellulari (5G, 6G…) risparmiando sui costi di produzione degli apparecchi, che potrebbero essere meno dannosi per il corpo umano. Una selva di antenne ci sommergerà e a nulla valgono le previsioni preoccupatissime di organismi
specializzati come l’istituto Ramazzini o dell’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC). Non accadde qualcosa di simile con l’amianto?


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