Genova per chi non c’era. Ma vuole esserci oggi. Greta prende in mano il libro e legge il titolo. Genova per chi non c’era. Io non c’ero, dice. La mamma scoppia a ridere. Eh certo che non c’eri, non eri ancora nata!
Ma Greta apre e chiude le pagine a caso, familiarizza con il tomo: so poco di Genova, alla fine. Lo leggerà. Elena mi ferma dopo una presentazione a Firenze; ha vent’anni, gli occhi neri e mi dà del lei, come si conviene con un uomo che ha passato la cinquantina. Ti prego, dico io, passa subito al tu. Ridiamo. Ma lei… scusa tu – mi chiede – non è che avresti voglia di tornare per parlare ancora di Genova? Fra un paio di mesi, perché così mi preparo.
C’è un atteggiamento interessante in queste occasioni di confronto dove incontro ‘chi non c’era’, ed è un atteggiamento di curiosità, una voglia di formarsi un’opinione più approfondita di quello che è il racconto comune di Genova 2001. Botte, Carlo Giuliani, repressione, Diaz, Bolzaneto. Chiedono spesso cosa era accaduto prima, come faceva il Movimento a essere così compatto nel proporre.
Oggi abbiamo un forte problema di comprensione del ‘quasi contemporaneo’ e riguarda chi è giovane, o chi cade dentro l’analfabetismo funzionale che secondo i dati Isfol colpisce sette, sette, italiani su dieci, contro i 4,9 del dato europeo.
Gli ultimi cinquant’anni sono difficili da ricostruire, soprattutto pare impossibile recuperare il contesto, quella parola che ci indica il panorama complessivo in cui accadono singoli o determinati fatti.
Raccontare Genova non è solo un esercizio di memoria, ma è un dovere quasi civile di recuperare un contesto, un momento della storia globale in cui un Movimento si forma quasi all’improvviso e verrà spezzato con proiettili, torture, repressione e tanto gas Cs, vietato dalle convenzioni internazionali in ambito di ordine pubblico.
Genova ripropone tutti quei temi che anche oggi sono ancora sul tavolo, tremendamente quotidiani e con alcune chiavi interpretative che ancora oggi reggono bene. Per questo non serve il reducismo su Genova 2001, ma un lavoro di recupero di alcuni dibattiti e crearne di nuovi su temi che si sono incancreniti o che sono riusciti a complicarsi proprio perché non affrontati.
Venti anni ed era un’era fa, eppure era anche ieri. Passare in eredità delle idee, po meglio ancora delle pratiche, forse è il legato migliore per chi oggi ha vent’anni. Oltre a non lasciarlo solo.