VOI SIETE IN GABBIA, NOI SIAMO IL MONDO. Punto G. Il femminismo al G8 di Genova (2001 – 2021). Monica Lanfranco, Vanda Edizioni
Durante la forzata reclusione domestica causata dalla pandemia ho fatto molte cose, oltre a continuare a scrivere e produrre video e podcast, che altrimenti avrei rimandato: messo a posto armadi e librerie, sistemato album fotografici, pulito concretamente casa e virtualmente il computer, ritrovato oggetti che pensavo perduti e, infine, mi sono immersa nel passato. Quest’ultima azione non è stata volontaria e graduale, ma violenta, obbligata e dolorosamente indotta da due lutti intrecciati: la morte, il 7 dicembre 2020 della mia maestra politica, Lidia Menapace e, esattamente sei giorni dopo, quella di Bruno Rolleri, fratello d’elezione.
L’attonimento per queste perdite personali insieme all’oggettiva eccezionale e tremenda situazione globale nella quale il Covid19 ha gettato il pianeta hanno rischiato di farmi dimenticare una ricorrenza con la quale avrei magari potuto fare i conti, chissà, a ridosso dell’evento, senza però che questo muovesse molto dentro di me. E invece, negli ultimi giorni del tormentato, palindromo, bisestile e maledetto 2020 ecco una mail.
E’ di Elena Ghezzi, figlia trentenne del mio compagno di liceo Giovanni, che mi chiede una intervista per il progetto Dreamers il cui spirito, scrive Elena “si focalizza su tre aspetti principali: rinnovare la memoria di quanto accaduto al G8 di Genova; accrescere la consapevolezza circa il cambiamento che ha caratterizzato la società civile e la politica, forse anche a causa di quei giorni; tornare a pensare a quelle visioni politiche ancora attuali e attuabili”.
Un colpo al cuore, come si dice, alla lettura di questa ‘chiamata’ da parte di persone giovani e desiderose di sapere, e con essa l’emersione della consapevolezza che sì, il 2021 che si stava affacciando portava con sé l’anniversario dei 20 anni del G8 di Genova, evento che ho sempre sintetizzato in questo modo: “Straordinario e terribile, determinante il prima e il dopo, nella mia vita, rispetto alla politica e alla dimensione pubblica, così come la nascita dei miei figli ha determinato il prima e il dopo nella mia dimensione intima e privata”.
C’è, infatti, una me che ha fatto politica come femminista prima del G8, e la me dopo quei nove mesi di partecipazione al tavolo dei portavoce del GSF in rappresentanza della Marcia Mondiale delle donne, la rete femminista che, oltre a partecipare alle iniziative di luglio, organizzò un mese prima PuntoG-Genova, genere, globalizzazione, con la partecipazione di oltre 1500 attiviste pacifiche da tutto il mondo riunite a Genova.
Quei due giorni di giugno 2001, il 15 e 16, di enorme fatica e pura felicità fecero vivere a noi che vi prendemmo parte e alla città, ancora aperta, l’illusione che l’intelligenza collettiva di donne tanto diverse come storia, età, retaggi e allo stesso tempo così in sintonia sul desiderio di trasformare il mondo potesse avere la meglio sull’ottusità della violenza. A ispirarci e guidarci allora, tra le altre, il pensiero laico e fermo di Nawal El Saadawi, simbolo della lotta delle donne per la laicità, la democrazia e la secolarizzazione nei paesi del Medio Oriente, che così definisce la lotta delle donne: “E’ il femminismo il vero umanismo, e il pensiero politico che unifica tutte le grandi utopie: quella socialista, quella pacifista, quella nonviolenta, quella anticapitalista. Il vero obiettivo comune da raggiungere è la solidarietà tra le donne, una solidarietà politica nella quale si esaltino le cose che ci uniscono e si continui a lavorare su ciò che ci divide”.
La certezza di allora, mentre la globalizzazione diventava sempre più strutturale nelle nostre esistenze, era che il neoliberismo, dal punto di vista economico, ma anche culturale e sociale, stava modificando antropologicamente il nostro agire, pensare e sentire. Non la globalizzazione dei diritti, delle risorse, delle competenze, del benessere, ma quella in cui il capitale e la finanza sono gli unici attori, spietati e schiavisti, che non solo si nutrono dei corpi degli esseri umani già poveri, ma che avrebbero impoverito anche chi, come noi, ha avuto la fortuna di nascere in luoghi del mondo che godono di una relativa ricchezza.
Se alle oltre 140 organizzazioni femministe, che nel 2001 avevano dato vita alla prima edizione di Punto G-Genova, genere e globalizzazione (la seconda fu nel 2011) non era bastato il controvertice di luglio per marcare la propria presenza di senso e di contenuti, allora vuol dire che anche all’interno dell’invenzione giornalistica del nuovo millennio, il popolo di Seattle, poi diventato il popolo di Genova, le donne degli uomini si fidano poco, persino movimentisticamente parlando. Ci si posizionò, non a caso, ad un mese dal Summit, aprendo le contestazioni con due giornate di convegno e manifestazione itinerante nel dedalo di stradine della famigerata ‘zona rossa’: femministe storiche, giovani comuniste, suore missionarie comboniane, pacifiste convinte e dubbiose, autorevoli esponenti del mondo femminista che avevano partecipato alla prima storica assise di Pechino del 1995, tutte comunque d’accordo su un punto. Era necessaria, e imprescindibile, una focalizzazione sull’impatto che la globalizzazione stava avendo sulla vita delle donne, e questo lo potevano fare soltanto le donne stesse, perché nel movimento misto questa analisi non c’era. Ecco: Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo Punto G. Il femminismo al G8 di Genova (2001-2021) è quindi il racconto, personale e politico, non solo degli eventi del giugno 2001, ma anche di elaborazioni politiche e progetti femministi la cui possibilità di venire più ampiamente conosciuti, condivisi e di realizzarsi e incidere è stata purtroppo occultata dai fatti di luglio 2001.
La morte di Carlo Giuliani, la violenza istituzionale, quella di alcuni gruppi di facinorosi, il sangue, gli abusi, la ferita inferta alla democrazia e alla fiducia nelle forze dell’ordine hanno seppellito a lungo, inevitabilmente, i contenuti dello sguardo femminista di allora che, come vedremo, saranno fortemente profetici sui pericoli della globalizzazione neoliberista nell’impatto sulle nostre vite e sul pianeta. Questo sguardo, allora premonitore, è ancora oggi limpido, attuale e più che mai necessario.
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