Europei di calcio, l’importanza di inginocchiarsi prima di una partita

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Ha senso inginocchiarsi prima delle partite dei Campionati Europei di calcio, per dare pubblico sostegno alla campagna Black Live Matter? Risposta: sì. Ed è ancora più importante che ci siano le telecamere di tutto il mondo a riprendere quel gesto. Ed è importante che sia proprio lo sport e il calcio a fare da cassa di risonanza di uno dei grandi diritti della terra, ancor oggi in discussione. Ed è importante, infine, che le ambiguità di chi dice che lo sport, e il calcio, sono qualcosa di “separato” rispetto alla “politica”e al mondo reale, vengano smentiti in diretta mondiale.
Ma gli ostacoli non mancano.
L’origine del gesto si deve a Colin Kaepernick, giocatore di football americano statunitense che si inginocchiò nel suo Paese prima dell’inno nazionale per protestare contro le ingiustizie subite dalla minoranza nera nel suo Paese. Era il 2016. Dopo la morte di George Floyd per mano di un poliziotto americano in Minnesota, il 25 maggio 2020, il primo a portare alla ribalta nel grande calcio internazionale il gesto del take a knee, ovvero quello di mettersi in ginocchio, era stato Marcus Thuram, figlio di Lilian. Da allora, sono stati in molti a seguirlo in vari sport, dalla NBA di basket alla F1. Con gli Europei di calcio l’Uefa ha rilanciato, scegliendo di incoraggiare quel gesto contro il razzismo, dopo aver sostenuto varie campagne negli stadi di tutta Europa con lo slogan “Respect”. Campagne che nel nostro Paese si sono fatte largo un po’ a fatica, sebbene incoraggiate anche dalla Lega calcio e dall’Unar, l’Ufficio nazionale contro le discriminazioni razzisali che proprio allo sport ha dedicato uno specifico Osservatorio, costruito con Uisp e Lunaria. Proprio perché lo sport è linguaggio popolare, capace di catalizzare attenzione e rispetto.
Su questa scia stanno avvenendo cose importanti in questi giorni, con i giocatori di alcune rappresentative nazionali che si inginocchiano e altri no. E’ accaduto nelle prime partite in programma, come Belgio-Russia, con i calciatori belgi inginocchiati e quelli russi no. O come Inghilterra-Croazia, con i Leoni inginocchiati e i Croati a guardare. Il pubblico che assiste è diviso ed è frequente ascoltare bordate di fischi a chi si inginocchia, come era capitato in una partita preparatoria e amichevole, Irlanda-Ungheria giocata a Budapest, con il capo di stato di quel Paese, Viktor Orbán, che ha bollato il gesto come “provocatorio”.
E la formula di questo Europeo sembra mettere a nudo le fragilità europee nel condividere un valore, quello dell’antirazzismo, che dovrebbe essere fondante. Perché i fischi si sono sentiti anche a San Pietroburgo, che ha ospitato Belgio-Russia e persino a Wembley, Londra, sede di Inghilterr-Croazia, con il leader del partito no-Brexit, Nicolas Farange, a dire che “inginocchiarsi significa soltanto solidarizzare con una organizzazione marxista che vuole eliminare le forze politiche, vuole distruggere il capitalismo occidentale, cancellare il nostro modo di vivere e sostituirlo con un nuovo ordine comunista”.
Ci risiamo: l’impegno civile va distinto dall’impegno muscolare, la “politica” corrompe il fisico e la mente. La retorica nello sport è una bestiaccia, la cacci fuori dalla porta e rientra dalla finestra, non c’è niente da fare. Eppure in questi Europei di calcio anche alcuni arbitri hanno iniziato ad inginocchiarsi, come l’italiano Daniele Orsato. Sostenuto, insieme ai giocatori, dal FifPro, il sindacato mondiale dei calciatori: “Pieno sostegno ai giocatori dell’Inghilterra contro razzismo e discriminazione, nel calcio e anche fuori, a Euro 2020”. Chiaro? Nel calcio e fuori.
E allora perché il Cio-Comitato Olimpico Internazionale, detentore dei diritti dei Giochi, ha emanato per Tokyo 2020, che dovrebbe incominciare al termine degli Europei, una direttiva per cui è vietata qualsiasi forma di protesta, manifestazione o propaganda politica, religiosa o razziale? Il Comitato Olimpico e Paralimpico americano (USOPC) aveva assicurato alla fine di marzo che gli sportivi impegnati a Tokyo sarebbero stati liberi di alzare i pugni o inginocchiarsi durante l’inno nazionale, per sostenere gli sforzi della campagna contro il razzismo. I valori e diritti umani fanno paura ai rètori dello sport, e se “un fantasma si aggira” va soffocato.
Non sarà per caso venuto il momento di una bella revisionata a questi organismi internazionali privati, come il Cio, che si permettono di svillaneggiare i valori e i diritti umani. Eppure il Cio era nato proprio per questo, su basi democratiche, solidali e non profit. Che cosa è diventato se neppure il libero arbìtrio degli atleti è rispettato? Eppure proprio quella di sostenere e non contrastare il Black Live Matter sarebbe una buona occasione per rifarsi una nuova coscienza e rilanciarsi su valori nuovi, mettendo da parte la cattiva coscienza delle Olimpiadi di regime degli anni ’30 e quella dei boicottaggi degli anni ’80.

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