Falcone è disonorato ogni volta dal complice silenzio di chi si allea con i mafiosi

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In attesa delle celebrazioni del 23 maggio, come ogni anno ormai, pochi italiani penso possano essere soddisfatti di come Giovanni Falcone sia ricordato e soprattutto sia rispettato. Si celebra il giorno della strage di Capaci, quasi come un atto dovuto. Poi i restanti 364 giorni tutto torna nell’apatia e nel dimenticatoio così come accadeva quando Falcone era in vita: isolato e osteggiato. Non riesco a sopportare l’idea di dover ricordare Falcone superficialmente, quasi in maniera sterile. Credo in questa circostanza non si debba avere paura di dire ciò che si pensa. Insomma, avere il coraggio delle proprie idee e manifestarle anche se non piacciono. Non rispetterei le vittime di mafia se non dicessi ciò che penso nel profondo del mio cuore. Mi lusinga anche il fatto che questo che sto scrivendo possa non piacere o addirittura non essere pubblicato. Sono sicuro che ogni volta che chi ricopra ruoli rivolti al bene comune non faccia il proprio dovere e violi la legge non abbia titolo e diritto di partecipare al ricordo, a quello vero, a quello profondo e sincero. Chi fa della sua carriera uno strumento di potere invece che una funzione al servizio del cittadino non è degno di celebrare Falcone e tantomeno tutte le vittime di mafia. Se potesse parlare, credo che abiurerebbe la coscienza ipocrita di chi oggi lo onora e ieri lo infangava. In vita al magistrato di Palermo furono sbattute in faccia tante porte e tante altre gli furono chiuse. Falcone è disonorato ogni volta dal complice silenzio di chi si allea con i mafiosi, dal voto di scambio, dalle tante ingiustizie, dalla predominante indifferenza che attanaglia l’attuale società civile. Credo che il modo migliore per dire no alle mafie sia quello di alzare in alto il vessillo della legalità nella speranza che le nuove generazioni ne facciano la loro ragione di vita. Non dimentichiamoci che la criminalità organizzata mette le sue radici negli spazi vuoti lasciati proprio dalla mancanza di legalità e di giustizia sociale. Falcone, negli ultimi mesi di vita, temeva che la magistratura tornasse alla vecchia routine: “i mafiosi che fanno il loro mestiere da un lato, i magistrati che fanno più o meno bene il loro dall’altro, e alla resa dei conti, palpabile, l’inefficienza dello Stato”. Noi tutti insieme possiamo e dobbiamo evitare che questo accada. Come era solito dire lui, per evitare che questo accada è sufficiente che ognuno di noi faccia semplicemente il proprio dovere!

Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale. Associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.


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