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La Democrazia rappresentativa europea tra crisi epocali e istituzioni da rinnovare

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Sulla base dei dati forniti dal rapporto The global state of Democracy 2019 di IDEA (International Institute for Democracy and Electoral assistance) sono europei ben 39 dei 97 Stati democratici oggi riconosciuti a livello globale. Va ricordato inoltre che, con il Parlamento europeo, l’Unione può vantare di avere il primo, e sostanzialmente unico, caso di un Parlamento eletto direttamente su scala sovranazionale, ormai sganciatosi completamente dei parlamenti nazionali.

Eppure è largamente diffusa l’insoddisfazione per il funzionamento della democrazia in Europa. Una insofferenza accentuata con riguardo all’Eurozona.

Lecito domandarsi il perché di tutto ciò. Gli autori e i curatori sono andati anche oltre, spingendosi in un’articolata analisi della dinamica istituzionale dell’Unione europea allo scopo di comprendere se e come i Parlamenti possano continuare a funzionare anche in Stati caratterizzati da autonomie forti e asimmetriche. Nonché il ruolo di concerto del Parlamento europeo, in affiancamento ai Parlamenti nazionali, come garante di un’adeguata rappresentanza politica nei processi decisionali di un’unione europea anch’essa sempre più asimmetrica, e dell’Eurozona in particolare.

Le principali asimmetrie riscontrabili in Europa sono:

  • Il divario che si riscontra tra i 19 Stati membri dell’Eurozona, da un lato, che condividono la stessa valuta, la politica monetaria della Bce e le procedure macroeconomiche e fiscali comuni più stringenti, e gli 8 Stati membri dell’Unione, ma non dell’Eurozona, dall’altro.
  • Il divario tra i Paesi creditori, quelli cioè che offrono assistenza finanziaria da una parte, e i Paesi debitori, ossia i destinatari dei medesimi programmi finanziari dall’altra.

Il fatto che l’assistenza finanziaria sia stata fornita principalmente, al di fuori del quadro giuridico dell’Unione, dal Fondo Monetario Internazionali (Fmi), dal Fondo Europeo di Stabilità (Mes), dal quale il parlamento europeo è completamente escluso, non ha certamente favorito la formazione di procedure significative di accountability democratica.

Queste procedure sulla concessione di assistenza finanziaria sono fortemente influenzate dagli assetti adottati a livello costituzionale interno. Così i Parlamenti di 5 Stati membri (Austria, Finlandia, Estonia, Germania, Slovacchia), essendo titolari individualmente o insieme ad altri Parlamenti di poteri di veto sull’esborso di questi fondi o sulla decisione di aumentare la quota nazionale, potrebbero bloccare l’adozione di un pacchetto di salvataggio, originando quindi ripercussioni significative sul paese potenzialmente beneficiario e sull’intera Eurozona.

Un ulteriore aspetto da indagare gli autori lo evidenziano nella asimmetria tra i partecipanti alle votazioni e i destinatari dei provvedimenti sottoposti a votazione.

Per quanto riguarda l’Eurozona, un numero significativo di europarlamentari, quelli eletti negli Stati che non ne fanno parte, prende decisioni per le quali non si assume alcuna responsabilità davanti ai loro elettori, in quanto destinate a incidere esclusivamente, almeno in forma diretta, sui cittadini di altri Stati membri.

Va inoltre considerato che l’aspirazione del parlamento europeo a rappresentare i cittadini dell’Unione non corrisponde appieno alla realtà. Si tratta tuttora di un’istituzione eletta sulla base della legislazione elettorale adottata da ciascuno Stato membro, sebbene nel rispetto di pochi in realtà principi comuni, con seggi assegnati agli Stati membri sulla base del contestato principio della proporzionalità degressiva.

Nella condizione attuale del Parlamento europeo è particolarmente difficile controllare autorità intergoverarnative sempre più potenti, specie quando di natura simmetrica, come l’Eurogruppo e il Vertice euro che rappresentano strutturalmente solo alcuni Stati membri.

È indubbio per gli autori che la cooperazione interparlamentare possa contribuire a colmare le lacune nelle asimmetrie informative che caratterizzano i Parlamenti, soprattutto nel contesto della governance dell’UEM (Unione economica e monetaria), in cui ogni Parlamento nazionale dispone di un’informazione ristretta e orientata agli interessi dei suoi cittadini, ma resta sprovvisto nel quadro generale su ciò che avviene a livello di Unione.

Per contro, il Parlamento europeo probabilmente è a conoscenza del contesto generale, ma fatica a cogliere le sfumature dei diversi sistemi costituzionali e politici nazionali e non è in grado di esercitare alcun controllo significativo sugli organi intergovernativi, e soprattutto su quelli che fanno riferimento esclusivo all’Eurozona, anche se può far valere i propri indirizzi nei confronti della Commissione, la quale partecipa a questi organi.

L’unico organo, in teoria, in grado di esercitare un efficace coordinamento interparlamentare sembrerebbe essere rappresentato dalla Conferenza dei presidenti dei Parlamenti europei, ma nei casi in cui ha tentato di svolgerlo, facendo leva sulle amministrazioni parlamentari, ha incontrato non pochi ostacoli.

La Democrazia rappresentativa, tanto nell’Unione quanto nei suoi Stati membri, ha affrontato nell’ultimo decennio sfide epocali:

  • Crisi economico-finanziaria
  • Crisi migratoria
  • Crisi dello stato di diritto
  • Pandemia da COVID-19

Le numerose crisi vissute dall’Unione hanno favorito anche la nascita, soprattutto negli ultimi anni, di riunioni interparlamentari definibili su scala regionale, ossia di Parlamenti dell’Europa meridionale, del Nord Europa o del gruppo di Visegrad. Anche riunioni interparlamentari da parte dei cosiddetti clusters of interests. Una delle iniziative più recenti in tal senso è la creazione dell’Assemblea franco-tedesca per un migliore coordinamento interparlamentare sugli affari dell’Unione europea e per approfondire l’integrazione europea.

Tuttavia alcune recentissime iniziative assunte dalle istituzioni europee, con prevalenza riguardo la pandemia, sembrano mostrare una nuova prospettiva di sviluppo dell’Unione stessa, volta proprio a riequilibrare le asimmetrie esistenti tra gli Stati, almeno da un punto di vista economico, in particolare gli autori fanno riferimento a:

  • Il pandemic emergency purchase programme con un’azione di supporto finanziario non già solo in proporzione alle quote di capitale cui contribuiscono le varie banche centrali nazionali, ma anche in relazione alle effettive necessità dei paesi dell’Eurozona.
  • Il piano per la ripresa presentato dalla Commissione europea, denominato Next Generation EU che mira a redistribuire risorse all’interno dell’Unione, alleviando gli squilibri più macroscopici riscontrabili al suo interno nella fase post-pandemica.

Le asimmetrie non si riscontrano solo nei rapporti tra Stati ma anche all’interno di singoli Stati europei. Basti pensare alle problematiche posizioni di Scozia e Irlanda del Nord riguardo la Brexit, oppure alla questione catalana in Spagna. E qui ben si inseriscono i modelli di demoi-crazia, ampiamente esposti nel testo da Robert Schütze.

L‘Unione europea è stata progettata per gettare le basi di un legame sempre più stretto tra i popoli d’Europa.

Il termine demoi-crazia è stato coniato proprio per concettualizzare le potenzialità democratiche di un’unione di demoi multipli. La demoi-crazia non vuole un’identità politica comune e condivisa alla base di tutte le identità nazionali, ma la condivisione differenziata delle identità nazionali.

L‘idea di demoi-crazia, come governo dei popoli, fornisce la via di mezzo in un mondo in cui lo Stato-nazione perde sempre di più la sua autonomia di scegliere democraticamente per il suo “popolo” e in cui l’idea di Stato-mondiale rimane un’opzione lontana e distante. Offrendo una via di mezzo tra cosmopolitismo e nazionalismo, un limitato regionalismo democratico permette di contenere le pressioni esterne della globalizzazione, mentre rappresenta anche un compromesso interno che combina unità democratica con diversità democratica.

Unione di Stati in cui sia l’Unione che i suoi Stati sono fondati su principi repubblicani e in cui i popoli dell’Unione governano insieme come molti in uno. In avallo al modello di federalismo repubblicano proposto da Schütze che accentua la natura duale del governo democratico all’interno di un’Unione repubblicana di Stati.

Ampio respiro viene dato anche all’esposizione degli sviluppi e delle battute di arresto del T-Dem, tentativo di risolvere su scala europea il famoso triangolo dell’impossibilità nell’economia mondiale tra democrazia, sovranità nazionale e globalizzazione economica, come enunciato da Dani Rodrik. Di riconnettere le democrazie nazionali alla governance economica europea e di superare l’immobilismo intergovernativo di strutture come l’Eurogruppo.

Dare vita a un nuovo compromesso politico-istituzionale che risponda al crescente scollamento tra i luoghi di esercizio della Democrazia e il livello delle decisioni politico-economiche, come anche tra le rivendicazioni della sovranità nazionale – il taking back control – e la pressione inversa esercitata dalle interdipendenze economiche e finanziarie su scala europea e internazionale.

La speranza dei promotori del T-Dem era di poter rappresentare una “terza via” tra il sovranismo e il sovranazionalismo. Nel testo gli autori affrontano il tema non tanto per avallare in toto il progetto o smontare le critiche avanzate, piuttosto interrogarsi sulla validità o meno della proposta a tre anni dalla sua elaborazione.

Innegabile è lo spostamento delle politiche dell’Eurozona con un ritorno all’agenda sociale (il cosiddetto lavoro di socializzazione del Semestre europeo) e la trasformazione green del Semestre europeo promesso dalla presidente della Commissione Ursula van der Leyen nell’ambito del suo progetto di Green Deal. E gli autori ravvedono in alcuni di questi cambiamenti anche soluzioni già suggerite nel T-Dem, nella fattispecie:

  • Una forma embrionale di Assemblea parlamentare transnazionale creata nell’ambito del nuovo Trattato di cooperazione e integrazione franco-tedesca firmato a gennaio 2019.
  • Lo Strumento di bilancio per la convergenza e la competitività (Budget Instruments for Convergence and Competitiveness, BICC), che è stato oggetto di intensi negoziati all’interno dell’Eurozona.

Hennette e Vauchez ritengono necessario ribadire inoltre che i capi di stato e di governo portano costantemente a livello europeo le nuove competenze chiave in campo economico, finanziario e di bilancio, senza però mai chiarire la questione della responsabilità politica di questo polo esecutivo europeo che sfugge sempre ai controlli giuridici, nonché alla politica rappresentativa dei partiti e dei Parlamenti.

Ciò che ancora non cambia quindi è questa sorta di zona grigia in cui si sta sviluppando la governance dell’Eurozona, tra l’indipendenza di una Banca centrale con ormai molteplici ruoli, il carattere informale di un Eurogruppo, istituito come un’entità di crisi europea a tutto tondo, e la non appartenenza al quadro istituzionale comune del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), la cui importanza è evidente ora più che mai visto il ruolo guida dell’imponente piano di sostegno agli Stati membri.

Lungi dall’essere bloccati, durante le crisi i singoli Stati hanno dimostrato di avere una certa capacità di improvvisazione e gradi di libertà talvolta imprevisti. Ciò rappresenta, per gli autori, la riprova del fatto che il marmo dei Trattati non ha la durezza e l’eternità che solitamente gli si attribuiscono per cui si ritiene plausibile e ammissibile un buon margine di modifica a tutela della Democrazia e della rappresentatività dei tanti demoi che vanno a comporre l’Unione europea.

Bibliografia di riferimento

Cristina Fasone, Nicola Lupo, Antoine Vauchez (a cura di), Parlamenti e democrazia in Europa. Federalismi asimmetrici e integrazione differenziata, Società editrice ilMulino, Bologna, 2020


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