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Weidmann torna a ringhiare alla Bce

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Jens Weidmann da un mese ha ricominciato a “sparare” contro la Bce (Banca centrale europea). Per ora è stato sconfitto, ma sta preparando la riscossa da attuare a giugno.

Il presidente della Bundesbank e componente del consiglio direttivo della Bce ha nel mirino la politica monetaria espansiva della banca centrale di Eurolandia.

Christine Lagarde l’ha spuntata. La presidente della Bce dopo il consiglio direttivo del 22 aprile ha annunciato: «Non abbiamo discusso alcun ridimensionamento del programma pandemico Pepp». Quindi andrà avanti e non verrà ridimensionato il mega piano di acquisti di titoli del debito pubblico dei paesi di Eurolandia per aiutare la ripresa della ricostruzione delle varie economie europee devastate dal Covid-19.

Tuttavia il presidente della banca centrale tedesca non si è arreso. Alla fine di aprile ha sferrato un nuovo attacco: «Le banche centrali non dovrebbero utilizzare la politica monetaria per perseguire obiettivi distributivi». Traduzione: la Bce non deve utilizzare i soldi dei contribuenti tedeschi per acquistare Btp e Bot italiani o di altri paesi europei fortemente indebitati. Ha rincarato: «Non ha la legittimità democratica per farlo». Con parole analoghe combatté qualche anno fa assieme a larghi settori della finanza e della politica tedesca contro la politica di “allentamento monetario” (il cosiddetto “quantitative easing”) voluto dall’allora presidente della Bce Draghi per lottare contro la crisi del debito sovrano scoppiata nel 2011.

La prossima partita si giocherà il 10 giugno, quando tornerà a riunirsi il consiglio direttivo della Bce. Certamente Jens Weidmann tornerà alla carica per chiedere la fine o il taglio degli acquisti. Probabilmente la spunterà ancora Christine Lagarde perché potrà contare sempre sull’appoggio determinante di Angela Merkel.

La cancelliera tedesca lo scorso anno cambiò, a prezzo di un grandissimo sforzo, la tradizionale politica di rigore finanziario di Berlino. Convinse i cittadini tedeschi che i paesi deboli dell’Europa del sud (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia) andavano aiutati per una ragione di solidarietà e perché era nell’interesse della stessa Germania evitare la bancarotta di nazioni importanti come la Penisola pagando anche dei costi economici. La Merkel riuscì alla fine a convincere con un duro pressing anche i paesi “virtuosi” dell’Europa del nord (Austria, Paesi Bassi, Finlandia) tradizionali alleati di Berlino.

Così, dopo molte incertezze, e sotto la spinta di Mario Draghi (propose un mega piano di “debito pubblico buono” per combattere la “guerra” contro il Covid), prese il via il piano Pepp della Bce. Il programma Pepp prevede l’acquisto di ben 1.850 miliardi di euro di titoli del debito pubblico dei paesi di Eurolandia fino al marzo 2022, quando presumibilmente sarà debellato il virus che ha causato morte e disoccupazione in tutta l’Unione europea. La Bce ora è a metà strada negli acquisti: sta procedendo comprando oltre 20 miliardi di titoli a settimana e sta privilegiando soprattutto il soccorso ai paesi più in difficoltà sui mercati finanziari come l’Italia. In questo modo lo spread tra i Btp decennali italiani e gli analoghi tedeschi si è enormemente abbassato e il costo degli interessi sul debito si è ridotto al minimo.

Angela Merkel, però, uscirà di scena tra qualche mese. La cancelliera tedesca resterà in sella fino a settembre, cioè fino all’appuntamento delle elezioni politiche nella Repubblica federale. Occorrerà vedere cosa succederà a Berlino in autunno: se si insedierà un governo vicino alla solidarietà europea teorizzata e praticata dalla Merkel o se invece prenderà il via un esecutivo attento agli egoismi nazionali di Weidmann. Sarà un caso ma in poco tempo lo spread è risalito da poco più di 90 punti a quasi 130, facendo lievitare i tassi d’interesse per pagare l’altissimo debito pubblico italiano.


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