Gaza, attacco alla stampa. Colpite sedi di Al Jazeera e Ap da raid israeliano

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Mentre la conta dei morti nella Striscia di Gaza sale, soprattutto bambini, 8 solo in un attacco nel campo profughi di Al Shati, i raid israeliani puntano a colpire centri nevralgici della stampa scomoda.
Come è avvenuto alle 14,30 di oggi nell’area commerciale di Gaza City, dove era situato l’edifico che ospitava la sede di Al Jazeera e di altre emittenti straniere, tra cui Associated Press: il palazzo dei media internazionali.
L’esercito israeliano, con un comunicato diffuso intorno alle 13,30, ha dato un’ora di tempo ai giornalisti e allo staff che lavorava negli uffici della stampa estera  per evacuare la struttura.
Puntuale è arrivato il bombardamento che ha distrutto l’edificio, fortunatamente vuoto.
Un episodio grave, un precedente che viola tutte le norme del diritto internazionale e della civiltà umana.
Dal Qatar non è tardata la razione ufficiale di al-Jazeera che oltre a condannare il bombardamento da parte di Israele del palazzo dei media non ha esitato a definire l’azione militare “un atto barbaro che prende di mira la sicurezza dei nostri giornalisti e impedisce loro di rivelare la verità'”.
Israele ha giustificato il raid affermando che  all’interno dell’edificio c’erano “asset militari” di Hamas.
Affermazioni smentite da tutte le emittenti con sede dell’edificio, in primis Al Jazeera che ha chiesto alla comunità internazionale di intervenire e proteggere i giornalisti sottolineando come sia ormai evidente che Israele abbia intrapreso questa guerra “non solo per diffondere frustrazione e morte a Gaza ma anche silenziare i media che stanno testimoniando la verita'”.
Anche dall’Associated Press è arrivata una dura reazione dicendosi “scioccata e inorridita da uno sviluppo incredibilmente inquietante”,. Attraverso Gary Pruitt, amministratore delegato dell’agenzia di stampa internazionale, Ap ha sottolineato che è stata “evitata per poco una terribile perdita di vite”. Pruitt ha aggiunto che sono state chiesti chiarimenti e informazioni al governo israeliano e di essere in contatto col dipartimento di Stato americano “per saperne di più”.
Non a caso i  primi a reagire e a rispondere alla sollecitazione a condannare l’episodio sono stati proprio gli USA che attraverso la portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, poco dopo il bombardamento da parte dell’esercito israeliano della torre a Gaza City hanno fatto sapere di aver “detto direttamente agli israeliani” che garantire la sicurezza e l’incolumità dei giornalisti e dei media indipendenti è una responsabilità di primaria importanza.
Purtroppo attacchi che hanno coinvolto operatori dell’informazione, più o meno in modo diretto e mirato, si stanno verificando sia a Gaza che nei territori occupati.
Tra le vittime vogliamo ricordare Reema Saad, una giornalista di 30 anni, incinta al quarto mese.
Secondo la testata Middle East Eye, il raid in cui è rimasta vittima Reema è avvenuto intorno all’1.30 di ieri mattina nella zona residenziale di Tal al-Hawa, a sud di Gaza.
La collega era nel suo appartamento con il marito e i due figli, di cinque e tre anni.
La morte di Reema, seppur non avvenuta mentre era impegnata nel suo lavoro, richiama comunque l’attenzione sul grave tributo pagato dai media in questa crisi, come evidenziato dal Committee to Protect Journalists (Cpj) che già nei giorni scorsi aveva segnalato che due edifici, a Gaza City, che ospitavano gli uffici di una dozzina di testate, locali e internazionali, erano stati rasi al suolo.
Anche in quel caso l’esercito israeliano aveva avvisato in anticipo dell’attacco alle torri al-Jawhara e Al-Shorouk, di 12 piani, ma il Cpj non è stato in grado di verificare se l’avvertimento sia stato sufficiente a evitare vittime.
La Bbc ha rilanciato le dichiarazioni delle autorità locali, secondo cui ci sarebbero stati dei morti.
“È assolutamente inaccettabile che Israele bombardi e distrugga gli uffici dei media mettendo in pericolo la vita dei giornalisti, soprattutto perché le autorità israeliane sanno dove si trovano questi media. Israele deve porre fine a questi raid e garantire che i giornalisti possano svolgere il proprio lavoro in sicurezza, senza paura di essere feriti o uccisi” ha dichiarato Ignacio Miguel Delgado, rappresentante di Cpj per il Medio Oriente e il Nord Africa, appello che facciano nostro è rilanciamo sia come singoli giornalisti che come Articolo 21.


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