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La normalità della censura. Il popolo palestinese non è glamour

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Luisa Morgantini, presidente di Assopace Palestina, lotta da anni per l’affermazione dei diritti delle palestinesi e dei palestinesi. Ha denunciato proprio a il manifesto (eccezione alla regola, insieme ad Avvenire) il silenzio dell’informazione su di un capitolo cruciale della terza guerra mondiale diffusa di cui parla spesso il Papa di Roma Francesco. E, è il caso di dire, a dispetto dei santi.

Infatti, malgrado le ripetute risoluzioni delle Nazioni Unite e della comunità internazionale, continua imperterrita la politica di oppressione e di apartheid messa in atto dal governo di Tel Aviv. Tanto più oggi, quando il declino di Netanyahu ha ulteriormente messo in moto forze reazionarie e fondamentaliste, guidate da un vero e proprio odio antiarabo.

Da ultimo, l’iniziativa di sgombero delle famiglie palestinesi ad opera dei coloni a Sheikh Jarrah e l’irruzione nella moschea di al-Aqsa hanno definitivamente terremotato la situazione.

Ecco, solo nelle ultime ore i media mainstream se ne stanno accorgendo, dopo l’incredibile silenzio dei giorni passati. Già. Vecchia regola dei manuali di comunicazione. Per fare la stessa notizia di un uomo bianco occidentale ferito o morto ci vogliono trecento morti o feriti se sono di pelle o carnagione diversi. Almeno ventivittime e decine di colpiti dall’aviazione israeliana a Gaza dopo i raid di razzi verso Israele, che si uniscono ai settecento dei giorni scorsi a Gerusalemme Est.

Ora, di fronte al conflitto in corso, tacere diventa impossibile. Tuttavia, le lunghe e colpevoli omissioni pesano anche nei rari momenti di informazione. Pressapochismo, spesso evidente ignoranza o faziosità pregiudiziale sono la dominante.

Non è una mera patologia, purtroppo. Se così fosse, magari basterebbe una cura della malattia. In verità, si tratta di una normale e fisiologica caratteristica dei media italiani, con poche trasgressioni dell’ordine costituito. Quest’ultimo si basa su due assiomi: la sudditanza alle linee degli Stati Uniti e il buon rapporto con l’ambasciata israeliana. Fino all’avvento di Bergoglio si aggiungeva il Vaticano, ma ora lassù tira un’aria diversa (peraltro assai osteggiata all’interno, com’è noto).

Senza nulla togliere, ovviamente, alla difesa del popolo ebraico, in questione è l’accondiscendenza acritica nei riguardi di un governo che se la batte con Orban e Bolsonaro a chi è più repressivo ed autoritario in giro per il mondo. Insomma, i silenzi giustamente denunciati da Luisa Morgantini sono una linea di condotta, uno stile consolidato.

Per fare un esempio. Nel mese di aprile solo dieci titoli dei telegiornali (pubblici e privati) sono stati dedicati allo scacchiere geopolitico; ma alla tragedia del Monte Meron, alle vaccinazioni e al cyberattacco all’Iran. Non alla vicenda palestinese e alla dialettica con Israele. Di cui, forse, non si vuole far sapere, per non alterare lo status quo mediale, suscitando i temuti sentimenti di sdegno e di riprovazione.

Non solo i media classici troncano e sopiscono, come novelli conte zio. L’universo dei social si sta adeguando. Numerosi utenti di Facebook o di Instagram hanno denunciato la cancellazione di contenuti e account riferiti alle violenza dei coloni e dell’esercito a Sheikh Jarrah, o alla pubblicazione di foto sull’uccisione del giovane Said, ad opera in questo caso di Alberto Negri, tra i maggiori conoscitori profondi della materia e di Antonella Napoli, coraggiosa cronista di Articolo21. Con che criteri intervengono gli Over The top, giudici severi a giorni alterni, vista la proliferazione costante di messaggi d’odio o di fake news?

Le Nazioni Unite hanno fatto sentire una flebile voce, richiamando Israele. Poco o nulla si spiega, però, nella narrazione giornalistica prevalente sui motivi reali, storici, di ciò che accade. Non siamo di fronte a generici disordini, bensì al tentativo sfacciato di annessione di ciò che rimane della Palestina e all’oppressione dei suoi abitanti. Tutto ciò avviene in violazione di risoluzioni e atti formali delle istituzioni mondiali ed europee.

La commissione parlamentare di vigilanza e l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrebbero discuterne. Con urgenza. Il pluralismo va tutelato e non riguarda unicamente i partiti.


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