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Medio Oriente, Facebook censura le immagini di Gaza ed i post #SaveSheikhJarrah

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“Per 40 anni ho fatto l’inviato di guerra cercando come tanti altri giornalisti di raccontare la violenza della guerra, in ogni parte del mondo. Le immagini forti infastidiscono , lo posso capire. Ma l’ipocrisia della censura credo che sia vera pornografia”. E’ quanto denuncia il giornalista Alberto Negri dopo aver postato un video in cui si vedono i morti dopo i bombardamenti su Gaza, con Facebook che ha censurato il video.
Ma Alberto Negri non è il solo. L’articolo sulla morte di Said pubblicato su Articolo21 dalla giornalista Antonella Napoli, direttrice di Focus on Africa, è stato ugualmente oscurato dalla piattaforma social.
“Posso capire la necessità di oscurare immagini forti di corpi massacrati dalle bombe che possano urtare la sensibilità delle persone, ma la foto di un padre disperato con il figlio ferito in braccio (minore, tra l’altro, con il viso pixellato) usata per il mio pezzo sugli scontri di ieri e i raid aerei su Gaza, non può essere considerata ‘censurabile’.
Mai fatta in vita mia ‘pornografia del dolore’.
Nulla lo è più della censura di queste ore su Facebook” la sua denuncia.
Centinaia di altri utenti dei social media hanno inoltre accusato non solo Facebook ma anche Instagram di aver cancellato i contenuti e gli account che riferivano delle violenze a Sheikh Jarrah.

Mohammed el-Kurd, scrittore palestinese di Gerusalemme, ha raccontato ad Arab News che stava pubblicando video e storie sulle violenze a Sheikh Jarrah, quando ha ricevuto un avviso che il suo account poteva essere cancellato. “Alcuni dei tuoi post precedenti non hanno rispettato le nostre regole”, si legge nel messaggio che il social network gli ha inviato. “Se pubblichi nuovamente contenuti che violano le nostre linee guida, il tuo account potrebbe essere cancellato, compresi i tuoi post, gli archivi, i messaggi e i follower”. El-Kurd ha raccontato che Facebook gli ha rimosso “57 pezzi di contenuto” dalla sua pagina, avvertendolo che i suoi post violavano le regole.

Un altro utente, Yasmin Dabat, ha raccontato che le sue storie con l’hashtag #SaveSheikhJarrah, datate 3 maggio, erano state “cancellate da Instagram senza alcun avviso o aggiornamento”. Instagram, che è di proprietà di Facebook, ha twittato che stava affrontando problemi tecnici il 6 maggio, dopo che centinaia di persone hanno iniziato a segnalare la censura. “Sappiamo che alcune persone stanno avendo problemi a scaricare e visualizzare le storie. Questo è un problema tecnico globale che non è legato a nessun argomento particolare, e siamo in procinto di risolverlo. Forniremo un aggiornamento il più presto possibile”, hanno fatto sapere da Facebook.

Nadim Nashif, direttore dell’ONG “7amleh” (dall’arabo “Hamlé” che significa operazione o campagna ndr), che si batte per i diritti digitali dei palestinesi, ha dichiarato che questa spiegazione non regge. “È molto strano, come sapete, paragonare quello che è successo in un certo quartiere di Gerusalemme, con paesi enormi come il Canada, gli Stati Uniti e la Colombia. Non ha senso per noi, non sono spiegazioni davvero credibili, perché in Canada e negli Stati Uniti hanno cancellato storie su una vasta gamma di argomenti, mentre qui era un hashtag molto specifico, relativo a Sheikh Jarrah”, ha detto. Secondo Nashif la censura dei palestinesi è stata fatta attraverso due canali.

“Gli israeliani stanno spingendo le piattaforme di social network ad adottare i propri standard, per definire ciò che è pubblicabile o meno. C’è una cooperazione significativa tra loro e Facebook” denuncia Nashif. Secondo il direttore di 7amleh, tale politica porta alle cosiddette “cancellazioni volontarie”, dove le unità informatiche israeliane inviano richieste alle piattaforme di social network per rimuovere contenuti specifici senza un ordine del tribunale”. Secondo Nashif inoltre esistono delle vere e proprie operazioni da parte di “eserciti di troll” attraverso un’app chiamat “Act.IL”, “che spinge gli utenti a segnalare contenuti in modo sproporzionato”. Attraverso questa applicazione – che ufficialmente combatte contro antisemitismo ed antisionismo e per la difesa della reputazione online dello stato ebraico – gli utenti “saranno in grado di rimuovere contenuti odiosi dai social network, combattere l’antisemitismo e l’antisionismo, influenzare le narrazioni online su Israele e partecipare a speciali campagne e sforzi pro-Israele”. Non solo sui media dunque ma anche sui social i palestinesi sono stati dunque messi a tacere mentre sul campo i bombardamenti israeliani hanno provocato fino ad ora 24 morti di cui 9 minori. “Le piattaforme di social network usano l’intelligenza artificiale per cancellare le informazioni, in base all’uso di parole chiave, principalmente riferite a ciò che il governo degli Stati Uniti considera organizzazioni terroristiche”,

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