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Bracciante maltrattato perché chiedeva la mascherina, ora è parte civile contro i padroni arrestati. Una storia di diritti alla vigilia del Primo maggio

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E’ una storia di rivendicazioni e diritti e non poteva che accadere alla vigilia della festa dei lavoratori: il protagonista è un giovane bracciante agricolo della provincia di Latina che, a marzo 2020, con la sua denuncia ha “obbligato” tutte le maggiori cooperative agricole dell’agro pontino a fornire mascherine e guanti ai lavoratori impiegati nel settore, sia sui campi che nelle serre. Fino ad allora, nonostante la pandemia centinaia di braccianti circolavano sulla Pontina  e nelle aziende senza alcuna protezione. Ma quella sua richiesta di una banale mascherina gli costò carissima, fu picchiato e scaraventato in un canale, riuscì a risalire le sponde e ad andare a chiedere soccorso all’ospedale di Terracina, raccontò l’accaduto ai medici, poi ai carabinieri. Ieri mattina in Tribunale è arrivato accompagnato da Marco Omizzolo, Cavaliere della Repubblica per le sue denunce contro il caporalato a Latina, e dagli avvocati Arturo Salerni e Silvia calderoni che hanno consegnato la richiesta di costituzione di parte civile nel processo che inizierà tra qualche mese. Andranno dunque a giudizio Fabrizio Tombolillo, 53 anni, titolare dell’azienda in cui lavorava il bracciante, e il figlio Daniele, di 22 anni. Sono accusati di aver aggredito il loro dipendente che a marzo 2020 si era presentato al pronto soccorso con ferite in diverse parti del corpo. Il giovane bracciante raccontò di essere stato picchiato e poi gettato in un fosso dai suoi datori di lavoro. Una vicenda che prova lo sfruttamento e i maltrattamenti subiti da migliaia di lavoratori stranieri impiegati in agricoltura a Latina, molti dei quali portano avanti una battaglia sui diritti che all’inizio era silenziosa ma che adesso è diventata una rivendicazione sociale oltre che economica, con frequenti appendici penali. Il giovane ha pagato quella battaglia un prezzo altissimo sulla sua pelle, in senso letterale. Le botte per lui sono arrivate dopo era stato licenziato perché si era “permesso” di chiedere i dispositivi di protezione, ossia mascherina e guanti, negatigli in piena pandemia, insieme alla paga per le ore lavorate. La sua denuncia portò a misure restrittive nei confronti dei due imprenditori, i quali nella loro tesi difensiva hanno affermato di essere stati aggrediti dal dipendente, poiché voleva un anticipo sullo stipendio, versione in un primo momento ritenuta plausibile ma a febbraio scorso sono state emesse nei  confronti degli attuali imputati nuove ordinanze cautelari e ieri è stato deciso il rinvio a giudizio per entrambi. la vicenda della carenza di mascherine era scoppiata come un bubbone un anno fa e nel giro di due giorni le organizzazioni datoriali furono <costrette> a distribuirne a migliaia in tutto il territorio. Ma nel complesso la condizione di precarietà e delle pessime condizioni in cui vive la comunità di braccianti indiani in provincia di Latina sono alla base del focolaio covid delle ultime ore.
(foto Flai-Cigl)


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