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L’Afghanistan vent’anni dopo

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“Siamo andati in Afghanistan per un orribile attacco vent’anni fa. Questo non può spiegare perché ci rimaniamo nel 2021”: con queste parole Joe Biden ha annunciato il ritiro definitivo delle truppe americane dal paese che fu oggetto del primo dei due conflitti innescati dagli americani a inizio secolo.L’altro paese colpito fu l’Iraq di Saddam Hussein, ai tempi del “war president”, quando l’Occidente perse l’anima e l’America iniziò a fare i conti con il proprio declino, prima che la devastante crisi economica del biennio 2007-2008 lo certificasse agli occhi del mondo.
Vent’anni dopo i talebani sono ancora lì ed è elevato il rischio che non rispettino la tregua, agevolati anche dalla scelta di Biden di ritirarsi in una data simbolica come il prossimo 11 settembre anziché il 1° maggio come concordato inizialmente, e che provino a riprendere il potere, com’era già avvenuto nel ’96, al crepuscolo dell’invasione sovietica. Del resto, parliamo di una nazione complessa, definita anche “il cimitero degli imperi”, fin da quando, nel 1842, vi si impantanarono gli inglesi in quello che i loro stessi libri di storia definiscono “il disastro dell’Afghanistan”.
Vent’anni dopo il mondo è radicalmente cambiato, il fondamentalismo non è stato per nulla sconfitto e le formazioni terroristiche originarie, a cominciare da  alqāʿida, ci appaiono quasi moderate, soprattutto se le si pone a confronto con l’orrore seminato dall’ISIS nell’ultimo decennio.
Le guerre di Bush non hanno ottenuto alcun risultato, se non quello di creare un’ulteriore destabilizzazione globale, probabilmente accelerando il tramonto dell’egemonia americana e proiettandoci in un secolo in cui gli unici a salvarsi saranno coloro che comprenderanno la natura policentrica di quest’epoca.
Non sappiamo cosa accadrà nei prossimi mesi e anni, quali conseguenze graveranno sul popolo afghano e se l’abbandono dell’Occidente e di un’alleanza ormai logora come la NATO favorirà la ripresa del jihadismo, come temono alcuni esperti e, nel nostro piccolo, anche noi. Ciò di cui siamo sicuri, invece, è che l’abbandono di Biden è obbligato: non può fare diversamente, non può permettersi altri morti. L’opinione pubblica interna, già sconvolta dal Covid, non gli perdonerebbe altro sangue, anche perché ormai il fallimento è conclamato e nessuno potrà far credere il contrario neanche alle frange più estremiste dell’elettorato repubblicano.
L’attacco all’Afghanistan è stato di una violenza disumana: una rappresaglia ingiustificata e del tutto priva di senso, una reazione isterica al dramma delle Torri Gemelle che ha contribuito a condurre gli Stati Uniti sull’orlo di una crisi di nervi e noi al seguito, mutando per sempre il nostro modo di vivere e di essere. Con il ritiro delle truppe finisce un’epoca che non sarebbe mai dovuta iniziare, ma i danni rimarranno a lungo e altri se ne aggiungeranno, come sempre accade quando si irride il concetto di pace e si sceglie la crudeltà, chiamando altra barbarie in una terra già provata da decenni di strazio e di tormento.

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