Come se a questa strana Pasqua 2021 mancasse qualcosa, grazie all’importante rilevazione di Andrea Palladino sul quotidiano “Domani” esce fuori pure che la Procura di Trapani, mentre indagava sulle attività svolte in mare coi migranti dalle ONG, avrebbe intercettato conversazioni telefoniche di molti giornalisti, in particolare di Nancy Porsia che da anni si occupa della rotta dei migranti dalla Libia, persino mentre stava parlando con la sua avvocata Alessandra Ballerini, e addirittura trascrivendone i contenuti, nonostante gli intercettati non fossero indagati.
O C’è chi tenta di giustificare questo macroscopico “abuso giudiziario” e scrive che le intercettazioni sarebbero state disposte nell’ambito di un’indagine del 2016 a carico di ONG responsabili di operare illecitamente coi migranti in mare e che questi giornalisti infatti si occuperebbero principalmente di flussi migratori e di tratta degli esseri umani.
Intercettarli quindi sarebbe stato un male necessario e collaterale alle indagini sulle ONG.
“Oltre 30 mila pagine di atti, neppure per Matteo Messina Denaro” dichiara al riguardo Sergio Scandura di Radio Radicale.
Cerca di calmare le acque il procuratore aggiunto del Tribunale di Trapani dott. Maurizio Agnello, sentito da Adkronos.
“Premetto subito che non intendo assolutamente disconoscere questa vicenda, ma voglio sottolineare soltanto che io ho preso servizio alla Procura di Trapani nel febbraio 2019, quando era già in corso l’incidente probatorio del procedimento, per cui io e le colleghe assegnatarie abbiamo ereditato questo fascicolo.
Come mi ha riferito l’ex capo della Squadra Mobile di Trapani, la giornalista Nancy Porsia è stata intercettata per alcuni mesi nella seconda metà del 2017, perché alcuni soggetti indagati facevano riferimento a lei che si trovava a bordo di una delle navi oggetto di investigazioni.
Nessun altro giornalista è stato oggetto di intercettazioni.
In ogni caso, voglio sottolineare subito che nell’informativa riepilogativa dell’intera indagine depositata nello scorso mese di giugno non c’è alcuna traccia delle trascrizioni delle intercettazioni della giornalista Nancy Porsia e non c’è alcun riferimento ad altri giornalisti“.
Le indagini della Procura di Trapani si sono concluse un mese fa e, secondo indiscrezioni, sarà chiesto il rinvio a giudizio per 21 indagati appartenenti alle ONG Jugend Rettet, Save the Children e Medici Senza Frontiere, tutti accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Tra i documenti depositati dalla procura per sostenere l’accusa e chiedere di andare avanti col processo, ci sono circa 300 pagine di trascrizioni di conversazioni di giornalisti, nessuno indagato, persino sui loro spostamenti.
Si tratta quindi di un grave abuso commesso in violazione della legge, tanto che la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha disposto accertamenti dopo essere stata sollecitata anche dalla FNSI che, tramite il suo presidente Giuseppe Giulietti, ha chiesto alla Guardasigilli di fare chiarezza e di intervenire.
Purtroppo non è solo una delle tante illegittimità cui si legge quotidianamente nelle cronache del nostro Paese, perché invero si sta parlando di due capisaldi giuridici della democrazia, ovvero di principali diritti costituzionali che, così facendo, vengono messi in seria discussione.
Il primo. L’Art 21 della Costituzionesancisce la libertà di informare e il diritto di essere informati da una categoria di giornalisti liberi, che possono e devono esprimersi senza paura di essere perseguitati, ovvero di essere intercettati ed ascoltati mentre acquisiscono, grazie alle loro fonti, le notizie che poi diffondono.
Ascoltare cosa si dicono, conoscere dove vanno e cosa fanno, prendere conoscenza di chi parla con loro e magari rivela informazioni importanti che altrimenti non si verrebbero mai a sapere, significa sostanzialmente incidere sulla libertà dei giornalisti.
Implica ridurre la possibilità che un giornalista ha di assumere informazioni, fare inchieste, scoprire altarini o entrare in confidenza con chi altrimenti, se sa che viene conosciuto il suo nome, non parla, non si confida e non rivela.
Vale la pena ricordare quanti importantissimi “malaffari” sarebbero rimasti sconosciuti se non se ne fosse occupato un giornalista, che proprio perché libero, è riuscito ad entrare nei gangli di un sistema corrotto, a parlare con “fonti confidenziali” complici, implicati o addirittura con gli stessi responsabili, è stato capace, proprio perché libero, di conoscere le dinamiche di organizzazioni criminali dedite alla droga ed alla corruzione politica, ovvero appunto, alla tratta ed allo sfruttamento degli esseri umani.
Intercettare un giornalista corrisponde in definitiva a non vedersi più garantita un’informazione completamente autonoma e non contaminata da interessi di potere, e questo è il pericolo veramente più grave.
Perché di giornalisti denunciati e messi alla sbarra per il coraggio di quello che hanno scritto sono pieni i tribunali.
Ma non essere più nella condizione di sapere cosa realmente sta accadendo significa non aver più accesso alla verità storica, e rappresenta quindi una libertà individuale limitata ed un diritto civile in meno.
Con tutte le conseguenze del caso, perché non sapere bene equivale a non scegliere bene.
Secondo. L’Art 24 della Costituzione sancisce che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.”
E soprattutto che “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”.
Orbene, per difendere qualcuno esiste la categoria degli avvocati, così come per curare un malato ci sono i medici che giustamente onoriamo ogni giorno.
Un potere istituzionale che autolegittimandosi, si inserisce d’amblais fra avvocato e assistito determina un controllo autoritativo di un diritto così importante da essere costituzionalmente sacralizzato, perché con la sua intromissione incide sulla possibilità di difendere e di essere difesi.
A chi banalizza rispondendo con “Male non fare, paura non avere” va ribadito che il diritto di difesa non è solo quello che riguarda i colpevoli che devono pagare, secondo la legge, per le loro condotte di reato.
Qui non si tratta del “sentire” quali strategie uno spregiudicato avvocato vuole adottare per salvare il suo cliente dalla galera.
Questo è un messaggio distorto e demagogico in primis perché fornisce dell’avvocato un’immagine falsa, poi perché è preoccupante invece l’esatto contrario e riguarda il diritto universale ad una giusta difesa e di chi pretende giustizia.
Ed il vero grave problema quindi è un altro ed anche questo molto più pericoloso di quello che si pensa.
Che gli avvocati vengano intercettati mentre lavorano, esercitando un ruolo costituzionalmente garantito, è arcinoto e da anni articoli e commenti dei massimi esponenti di categoria impegnano le testate giornalistiche e l’opinione pubblica.
La Corte di Cassazione da tempo sostiene che l’articolo 103 del Codice Procedura Penale non prevede un divieto assoluto di intercettazione ex ante fra avvocato e cliente, ma impone una “verifica postuma” del rispetto dei limiti.
Insomma, secondo la Suprema Corte dal momento che l’avvocato non gode di alcuna immunità, è possibile intercettarlo per verificare se sussistano o meno indizi di reità e solo sulla base di tale valutazione è possibile stabilire se le conversazioni siano utilizzabili.
Ciò nonostante la norma sopra richiamata stabilisce il divieto di intercettazione e non può accettarsi lo stratagemma giudiziario delle cd. intercettazioni a strascico, contesta l’avvocato Nicola Canestrini del foro di Rovereto che, come altri Colleghi, ha rinvenuto nei fascicoli processuali, tra gli allegati alle informative della polizia giudiziaria, alcune intercettazioni di colloqui con il proprio assistito.
Ha quindi presentato ricorso alla CEDU, evidenziando «che la tutela della riservatezza delle comunicazioni fra difensore e cliente si pone come elemento fondamentale del diritto di difesa, tutelato all’articolo 24 della Costituzione italiana, come, peraltro, anche riconosciuto dalla Corte di Cassazione, la quale ha stabilito che la tutela del segreto professionale è garanzia del libero dispiegamento dell’attività difensiva e del segreto professionale».
Ultroneo considerare che se emergono indizi di reità a carico di qualcuno, avvocato o no, è di sicuro legittimo intercettare, ma il vero problema è l’intromissione nei dialoghi di un legale che non ha commesso reati e che sta svolgendo “solo” la propria funzione difensiva.
E qualsiasi PM può intromettersi a quanto pare, acquisendo le conversazioni telefoniche o ambientali di un avvocato con una semplice richiesta al gestore delle telecomunicazioni.
Proprio riguardo le intercettazioni, la Corte Europea dei Diritti Umani ha stabilito che «devono necessariamente essere previste da norme nazionali che indichino in modo chiaro lo scopo e il livello di discrezione delle autorità nazionali nello svolgimento delle intercettazioni per poter essere considerate lecite, quindi, non solo l’ingerenza nella corrispondenza deve essere prevista dalla legge, ma quest’ultima deve essere particolarmente precisa nella descrizione della facoltà di violazione dei diritti della difesa, la quale non può degenerare in abusi di potere o applicazioni arbitrarie».
Per tale motivo non si può consentire che una procura, tramite la polizia giudiziaria, ascolti conversazioni private tra un avvocato ed un assistito, perché in questo modo si possono sapere con anticipo le attività difensive ed in linea di principio incidere, persino compromettere o depotenziare la tutela legale magari di un innocente o di una vittima, non solo di un colpevole che secondo il comune sentire se lo merita.
E sia chiaro, un innocente che per errore resta impigliato nelle maglie della giustizia, o una vittima che deve tutelarsi in un sistema – giustizia disfunzionale come purtroppo quello nostro non ha speranza di salvarsi senza un avvocato al quale viene limitata la libertà di difendere.
Forse così il pericolo di “interpretare” liberamente il divieto di intercettazioni dell’art 103 cpp è più comprensibile: nessuno sarebbe più sicuro che la difesa del proprio legale possa ottenere risultati utili, e nessun avvocato sarebbe più libero di parlare della propria difesa con il proprio cliente, perché tutto potenzialmente sarebbe alla mercé degli inquirenti.
Allora, oltre che delle pericolose e preoccupanti lesioni ai menzionati diritti costituzionali, varrebbe la pena ragionare – ed affrontare il dilemma una volta per tutte – dell’esistenza, invero difficile da rinvenire nell’attuale sistema della giustizia italiana, di strumenti legali di controllo e di verifica sulle attività delle procure.