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Francesco De Gregori, settant’anni e una storia

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Francesco De Gregori appartiene alla nostra storia: una storia che ha cantato, esaltato, messo in discussione, criticato, talvolta anche aspramente, e alla quale ha dato le forme di un racconto lungo svariati decenni. Ora che arriva al nobile traguardo dei settanta, oltre a inviargli i migliori auguri, rafforzati dal fatto che l’evento coincida quest’anno con la ricorrenza pasquale, ci teniamo a dirgli che se questo Paese è migliore di come spesso viene descritto è soprattutto per merito di persone come lui. De Gregori, infatti, appartiene alla categoria dei cantautori, scuola romana, e anche se non ne ho condiviso alcune recenti dichiarazioni politiche, a mio giudizio prossime al nichilismo e all’abbandono della speranza, non ho mai smesso di apprezzarne l’arte: un solenne richiamo al valore della battaglia politica, dell’idealismo, del trionfo dell’uomo sulla barbarie, del contrasto a ogni ingiustizia, del coraggio che si fa musica e, infine, sentimento popolare.
De Gregori appartiene alla generazione che ha vissuto gli anni in cui era lecito sperare, in cui anzi era intollerabile non farlo, in cui si poteva essere protagonisti anche a vent’anni, in cui si credeva in qualcosa e si sognava insieme un avvenire diverso e migliore.
È colui che ci ha riavvicinato ai sentimenti più veri, anche quando si è occupato di calcio e delle caratteristiche di un giocatore che ha paura di sbagliare un calcio di rigore, di essere giudicato per questo, di essere magari emarginato. Quel Nino della “leva calcistica della classe ’68” è un po’ ciascuno di noi di fronte alle sfide della vita. Siamo noi all’oratorio, davanti a un esame difficile, in una situazione ignota, nelle difficoltà e nei tormenti, come spesso capita alle opere dei geni, il cui respiro universale le rende eterne.
De Gregori ha posto sempre il noi davanti all’io, dando vita a un canto corale, a una rappresentazione collettiva, a un racconto in musica che ha cambiato la nostra vita e l’ha resa più bella.
Settant’anni sono un traguardo di tutto rispetto, eppure abbiamo la certezza che si tratti solo di un punto di partenza perché il nostro non ha mai smesso e non smetterà mai di cantare i sentimenti, le emozioni, le sue passioni viscerali e anche quel maledetto disincanto che lo ha colpito negli ultimi anni, drammatico per chiunque ma nel suo caso quasi sacrilego.
Settant’anni e una storia, la sua e la nostra, che continua e va a braccetto. Francesco De Gregori è stato e sarà per sempre un monito a non “restare chiusi in casa quando viene la sera”, anche se adesso siamo costretti a farlo a causa della pandemia e se le paure sono legittime, giustificate, dovute alla fragilità di un’Italia che ancora non riesce a vedere la luce in fondo al tunnel.
I migliori auguri e, se permette, un consiglio: non si lasci andare.

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