Riceviamo e volentieri pubblichiamo il saluto e gli auguri di Stefano Lamorgese, vice presidente ass. Amici di Roberto Morrione, a Marino Sinibaldi, che lascia la direzione di Radio 3 per andare in pensione nel giorno del suo compleanno.
Auguri e saluti a cui tutti noi di Articolo 21 ci uniamo con stima e affetto.
Oggi il nostro amico Marino Sinibaldi compie sessantasette anni: auguri!
È giunto il tempo della pensione: non sembri un traguardo banale. Ma, per lui (e per noi), c’è in ballo anche molto altro. Significa lasciare la direzione di Radio3, il ramo più colto, più “parlato” e “serio” dell’offerta radiofonica della Rai, la cui navicella Marino ha governato per quasi dodici anni in modo solo apparentemente erratico.
Per noi, che spesso l’ascoltiamo, è stato – al contrario – un lungo, emozionante viaggio: un periplo di parole e musica, di ragionamenti e dialoghi, di esperimenti e di intuizioni. Una rotta, frammentata e spezzata ma mai incerta, che ci ha permesso – guidati da tante voci diverse lungo un palinsesto disegnato appositamente per incontrare il mondo – di esplorare tanti universi, altrettanto diversi.
Un’offerta di nicchia, si dirà. Ed è vero. Ma una nicchia preziosa e magica come l’ostrica perlaferente: organizzata e pensata intorno alla parola, sui testi, dentro le declinazioni della nostra lingua, che interseca passato e futuro attraverso il coraggio della sperimentazione, la temerarietà della frequentazione dei confini più lontani. La navicella di Marino era fatta di carta; progettata e costruita sul libro, inteso come oggetto reale e simbolico, come veicolo, strumento, forziere capace di schiudersi in voci, stupori e racconto.
Da sempre uomo di libri – molti ne ha letti, qualcuno ne ha scritto – Marino s’è raccontato proprio ieri, 31 Marzo, in una bella intervista concessa a Concetto Vecchio, di Repubblica (Rai, Marino Sinibaldi lascia Radio 3: “Una vita tra i libri, ma in questo Paese le classi dirigenti non leggono”): vi definisce la sua Radio3 come “una comunità di ascoltatori, ma anche un’istituzione culturale”. È bello, è un exemplum mostrarsi consapevoli, senza false modestie, di aver svolto con onore il proprio lavoro.
M’è sembrato, leggendola, quasi un trattamento da cinema neorealista, un racconto in bianco e nero. Il padre tramviere che ne assecondò l’interesse per la lettura; la passione per il calcio e per la chitarra. Poi la scoperta dei libri, quelli veri: vent’anni da bibliotecario, a Roma, prima dell’avventura della radio. Una giovinezza segnata dall’esperienza di Lotta Continua, il gruppo della sinistra extraparlamentare rivelatosi, nel tempo, come inattesa fucina della classe dirigente italiana. Era il 1977. Fu allora, militando, che il nostro conobbe Luigi Manconi e Gad Lerner: amicizie – dice Marino – che durano ancora, dopo più di quarant’anni. Bei tempi, Marino, tanto lontani.
Ma Marino Sinibaldi è stato ed è anche un nostro amico. Un amico dei più sinceri tra quelli che contribuiscono alla vita dell’Associazione intitolata a Roberto Morrione. A lui ci siamo spesso – quasi sempre! – affidati per la conduzione delle nostre serate pubbliche, per la moderazione dei nostri dibattiti più importanti. Alla sua figura di intellettuale autorevole e dialogante ci siamo appoggiati, sicuri di trovarvi sostegno, stimoli e arguta partecipazione.
Mi viene in mente Julien Benda, il filosofo francese che tanti anni fa, nel 1927, pubblicò “Il tradimento dei chierici“, trattatello famoso e un po’ reazionario nel quale – lo sintetizzo brutalmente – rimproverava agli intellettuali del suo tempo di aver tradito la propria missione – l’universalismo della Ragione – per flirtare con le passioni politiche, finendo prigionieri dei settarismi di ogni colore.
Guardando oggi alla storia di Marino mi viene da pensare, contrariamente a Benda, che di intellettuali veri – engagé ma capaci di spendersi davvero, di essere generosi e partecipi, senza parossismi autopromozionali – abbiamo tutti bisogno, proprio perché in Italia “le classi dirigenti non leggono” e c’è molto più bisogno di gente come Guy Montag che di incendiari alla Nerone. Abbiamo bisogno di istituzioni culturali efficaci e vive cui soltanto gli intellettuali possono dar vita. E quindi, se pure Benda avesse avuto ragione allora, oggi… chissenefrega.
Grazie ancora, Marino. A presto.
Stefano Lanorgese