Bielorussia, imbavagliata la redazione di Novy Chas: diffida dal Ministero dell’informazione

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Oggi la redazione della testata indipendente Novy Chas ha ricevuto una diffida dal Ministero dell’informazione a causa di alcune pubblicazioni che riguardavano la situazione in Bielorussia. Lo riporta la testata stessa sul proprio sito internet e altri media indipendenti bielorussi.

Secondo la valutazione del Ministero, Novy Chas ha violato la legge che proibisce la divulgazione delle informazioni che favoriscono la propaganda di guerra, estremismo, pornografia, violenza e crudeltà o altre informazioni che possono ledere gli interessi nazionali della Bielorussia. Le pubblicazioni in questione sono i resoconti di quanto sta succedendo nel paese usciti sotto i seguenti titoli: “Perché non c’è stato, non c’è e non ci sarà un dialogo”, “Il 2020 anno criminale. Come e perché i manifestanti venivano condannati alla reclusione”, “Mentre venivo interrogato, accanto venivano picchiate delle persone e nessuno si preoccupava”; “Getto per le autorità”.

Dzianis Ivanshyn, il giornalista arrestato 12 marzo e riconosciuto come prigioniero politico, fino all’arresto lavorava proprio per questa testata. Aveva pubblicato due articoli d’inchiesta sugli ex militari del corpo speciale ucraino Berkut. Berkut era stato impegnato nella soppressione delle proteste di Maidan nel 2014 ed è ritenuto responsabile dell’uccisione di un centinaio di manifestanti. È stato sciolto dopo la risoluzione del conflitto. Ivanshyn nella sua inchiesta è riuscito a dimostrare che alcuni ex militari di Berkut vivono in Bielorussia e lavorano nella polizia antisommossa impiegata nella soppressione delle proteste pacifiche bielorusse.

Ora la testata indipendente che aveva pubblicato i pezzi è finita nel mirino del regime.

La capo redattrice Oksana Kolb scrive nel suo comunicato:

“Perché sono mesi che sta andando avanti la caccia ai media indipendenti? Qualcuno non viene più pubblicato, qualcuno è stato privato della licenza, qualcuno è addirittura in carcere. Per quale motivo? Perché raccontava la verità. Ma è proprio la verità che oggi è considerata il reato più grave. Soprattutto se a voler saperla sono milioni.”

 


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