Hanno deciso di scendere in piazza e protestare contro una decisione che sapevano sarebbe arrivata ma che non accettano e non accetteranno mai. Le donne in Turchia hanno reagito con coraggio all’annuncio del governo di abbandonare la Convenzione di Istanbul, una vera e propria dichiarazione di guerra alle donne in un Paese che ogni giorno registra tre femminicidi.
Le immagini diffuse sui canali social delle attiviste della piattaforma “We Will End Feminicide”, che ha promosso la protesta in diverse città turche, mostrano tutta la forza di questo movimento che è riuscito a mobilitare decine di migliaia di manifestanti sotto lo slogan “Ritira la decisione, rispetta la Convenzione”.
“In un paese dove ogni giorno vengono uccise tre donne, la Convenzione di Istanbul era la nostra unica speranza – ha scritto su Twitter la scrittrice turca Elif Shafak – abbandonandola, il governo turco sfida lo stato di diritto, i diritti umani, uguaglianza di genere”.
La decisione del presidente Recep Tayyip Erdogan, che da tempo contestava i termini della convenzione ritenendola ‘divisoria’, un ‘pericolo’ per l’unità delle famiglie, è stata deplorata dai vertici istituzionali dell’Unione Europea e da tutte le organizzazioni internazionali impegnate nella difesa dei diritti delle donne. Per tutto il femminismo mondiale quella del governo turco è una scelta devastante.
Il ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul, l’unica ‘arma’ di difesa contro la violenza domestica e coniugale, il solo deterrente alle mutilazioni dei genitali femminili che le ragazze turche subiscono fin da giovanissime, segna un’enorme battuta di arresto per le iniziative internazionali contro la violenza che minaccia le donne ogni giorno nelle nostre società.
Erdogan di fatto condanna la popolazione femminile del suo paese, compromettendone la protezione.
Ma l’opposizione non ci sta. Il principale partito in Turchia, il socialdemocratico Chp, ha annunciato al termine di una riunione straordinaria del suo direttivo che ricorrerà al Consiglio di stato di Ankara contro il decreto del presidente.
L’attacco ai diritti delle donne è da sempre uno dei principali atti di regimi illiberali e oppressivi.
Che il governo turco proceda ormai spedito su una china inarrestabile verso la cancellazione dello Stato di diritto è un dato di fatto sotto gli occhi, spesso indifferenti, della comunità internazionale.
Solo nelle ultime 24 ore Erdogan ha privato l’opposizione dei seggi in Parlamento, ha arrestato decine di attivisti dei diritti umani, ha espropriato la Municipalità di Istanbul della giurisdizione dell’area di Gezi Park, simbolo delle rivolte contro il governo, e infine si è ritirato dalla Convenzione di Istanbul.
Un’escalation autarchica e repressiva che l’Italia e l’Europa non possono, non devono, più ignorare.