Laura Boldrini, la più “odiata” dagli odiatori della rete, ieri ha avuto un altro piccolo ma assai significativo risarcimento. E’ stato infatti condannato dal Tribunale l’autore del post intimidatorio di qualche anno fa, uno dei tanti purtroppo; aveva scritto su Facebook: “… per la Boldrini serve più piombo delle p38”, ora in base alla sentenza di primo grado dovrà scontare sei mesi di reclusione, oltre al risarcimento della deputata che si è anche costituita parte civile al processo. “Mi sono costituita e sono andata a testimoniare. – ha scritto la ex Presidente della Camera, in un post pubblicato poco dopo la lettura del dispositivo di condanna – Dobbiamo denunciare l’odio online. Minacce e insulti non possono restare impuniti. È un modo anche per “riprenderci” la Rete come spazio di confronto e di incontro così importante. Fermare la violenza, che oggi in Rete dilaga, deve essere un impegno di tutte e tutti noi. Una battaglia di libertà che non possiamo perdere e che ha nella denuncia una tappa fondamentale. Non facciamoci intimidire!”. Laura Boldrini è stata letteralmente presa di mira quando ha ricoperto la terza carica dello Stato e anche in seguito o comunque quasi ogni volta che ha espresso la sua opinione, soprattutto in materia di immigrazione, ma non solo. E’ stata, però, anche la prima vittima eccellente del linguaggio dell’odio a chiedere l’accertamento delle responsabilità penali personali circa i reati commessi nella rete e dunque sui social, consentendo l’avvio di una nuova giurisprudenza in materia. Alle parole d’odio e alla loro crescente diffusione on line Articolo 21 ha dedicato numerose iniziative, a partire dalla Carta di Assisi per arrivare al dossier sulle minacce on line ai giornalisti redatto insieme alla Fnsi e consegnato lo scorso settembre al viceministro dell’Interno, Matteo Mauri, dal Presidente e dal segretario della Fnsi, Giuseppe Giulietti e Raffaele Lorusso. I cronisti minacciati in rete oggi sono stati inseriti nell’elenco dei giornalisti a rischio e all’attenzione del comitato istituito in seno alla Commissione parlamentare antimafia. Le parole d’odio non si fermano, per ora. Ciò che invece sta cambiando è la percezione della necessità di avere nuove regole anche per la rete.