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Ungheria e Polonia all’attacco dei ‘social liberal’ dopo Trump

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In Ungheria e Polonia c’è chi non vuole fare la fine di Trump e pensa a leggi per tutelarsi contro quella che chiamano ‘censura deliberata delle piattaforme’ che, afferma la ministra ungherese «limitano la visibilità delle opinioni cristiane, conservatrici e di destra». I due Paesi con la leggi più autoritarie e contestate a livello Ue sulla libertà di stampa ora cercano di intervenire su Facebook e Twitter per fissare loro, i governi, le regole da rispettare. Ovviamente a variazione di sensibilità politica di parte.

Chi decide se una notizia social è falsa e pericolosa?

Dal Troppo Trump di prima alla paura a destra del Dopo Trump. Mentre i paesi dell’Europa occidentale stanno cercando di capire come limitare la diffusione sui social network delle notizie false e come trovare un punto di equilibrio fra la libertà di espressione e il controllo sui contenuti razzisti e violenti, alcuni paesi hanno scelto la strada dello scontro a colpi di leggi e sanzioni a loro vantaggio di parte.

I peggiori per la libertà di stampa

«Polonia e Ungheria, due paesi guidati da governi semi-autoritari che hanno consolidato il proprio potere grazie al controllo dei media tradizionali e ai paletti, fino a poco tempo fa molto laschi, consentiti agli utenti dei principali social network come Facebook e Twitter», denuncia il Post.

«Opinioni cristiane, conservatrici e di destra»

In Ungheria la ministra della Giustizia Judit Varga, vicinissima al primo ministro Orbán, vuole «regolamentare le operazioni nazionali delle piattaforme online». Social network colpevoli  di «limitare la visibilità delle opinioni cristiane, conservatrici e di destra». In Polonia il primo ministro Mateusz Morawiecki, espressione della destra fideista al potere, ha criticato Facebook e Twitter per avere rimosso gli account di Trump dopo l’attacco al Congresso statunitense, ed ha proposto una legge di arbitrato governativo e multe salate ai social disobbedienti.

Costruttori di fake news e arbitri

Ed ecco che l’assalto al Congresso americano del 6 gennaio è diventato lo spartiacque anche per la libertà di espressione, commenta Micol Flammini sul Foglio. Il 6 gennaio è  iniziata una battaglia che per tanti governi ha messo Twitter, Facebook e simili tra le priorità. Priorità a difendere la libertà di espressione o a ‘controllarla’?

Radicalismo ed estremismo social

Il tema della diffusione di radicalizzazione ed estremismo sui social è un fatto con cui fare i conti. Poi ci sono gli orfani politici di Donald Trump, che a colpi di sempre vilipesa ‘libertà di parola’, cercano di evitare che quanto avvenuto all’ex presidente americano, il blocco delle fake via social, non possa accadere a loro.

Libertà social di verità o di bugia?

Semplificando molto, è in corso uno scontro tra i Paesi che vogliono limitare la diffusione sui social network delle notizie false e soprattutto pericolose (clamorosi casi sulla Pandemia Covid), cercando un punto di equilibrio fra la libertà di espressione e il controllo sui contenuti razzisti e violenti, ed alcuni paesi dell’Europa orientale, Ungheria e Polonia, che hanno scelto di fare pressione affinché i social network permettano la condivisione di tutti i contenuti, salvo arbitrato che decideranno loro. L’esempio della recente legge polacca sulla interruzione della gravidanza insegna e intimorisce molto.

Digital Services Act dell’Unione europea

Le misure che interessano i social network e la loro responsabilità sono contenute in particolare nel Digital Services Act dell’Unione europea in via di elaborazione. Il DSA chiede maggiore rapidità nel rimuovere i contenuti chiaramente illegali come violazioni di copyright, materiale terroristico e pedopornografico, e prevede alcune limitazioni maggiori per quelli che definisce «very large online platforms», “piattaforme digitali molto grandi”. I giganti Facebook, Twitter eccetera.

Trasparenza e responsabilità

A queste piattaforme la proposta Ue chiede soprattutto maggiore trasparenza sulle inserzioni pubblicitarie di politici o aziende, una verifica annuale di un organo indipendente, ma soprattutto un meccanismo di “analisi del rischio” che secondo alcuni potrebbe restringere la libertà di cui godono al momento i partiti e i leader politici che pubblicano spesso contenuti al limite o passibili di sanzioni.

I social di estrema destra

In Polonia e Ungheria sono stati aperti di recente dei social network paralleli che ricalcano Parler, che prima di essere rimosso dai principali ‘app store’ (Google ecc..), era molto popolare nell’estrema destra Usa per i suoi ‘larghissimi criteri di moderazione’ (gara a chi la sparava più grossa).

Abica, l’aquila della destra polacca

In Polonia la settimana scorsa è stato presentato Albicla, un social network che secondo Balkan Insight è stato creato da attivisti di destra legati a Diritto e Giustizia: il suo nome deriverebbe della parole latine albus aquila, “aquila bianca”, cioè uno dei simboli della Polonia, ed è stato presentato esplicitamente come un Facebook senza moderazione. Ma è già finito nei guai per la scarsissima protezione dei dati personali dei propri utenti.

L’Fb di Orban è Hundub

In Ungheria invece da dicembre esiste Hundub, un social network dalle origini poco chiare che era passato praticamente inosservato prima di essere pubblicizzato dall’importante quotidiano filogovernativo Magyar Nemzet come una ‘brillante alternativa a Facebook’.

Fonte: Remocontro


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