Cinque anni senza Giulio Regeni, quindici senza Coretta Scott King, la moglie del reverendo Martin Luther King che, per un’incredibile coincidenza, era nato, cinquantotto anni prima, lo stesso giorno del giovane ricercatore friulano.
Due ricorrenze per riaffermare l’importanza dei diritti umani, la necessità di battersi per difenderli in ogni angolo del mondo, la grandezza di storie assai diverse ma accomunate dalla medesima passione civile, dallo stesso impegno, da un viscerale amore per il prossimo che è il grande assente di quest’amara stagione.
Giulio Regeni e Coretta Scott King sono due icone dell’eterna lotta del pensiero progressista contro la barbarie della dittatura, contro l’abisso della violenza, contro ogni sopruso, ogni prepotenza, contro la sconfitta dell’umanità ad opera di chi ha elevato la crudeltà a propria cifra esistenziale e politica. Già, la politica, l’altra grande assente di questo tempo senza storia. La politica di cui avvertiamo sempre più il bisogno, la politica che Giulio amava e Coretta sognava, in un’America diseguale e segregazionista nella quale i neri non avevano alcun diritto ed erano spesso fatti oggetto di linciaggi e condanne disumane. La politica che per Giulio voleva dire studio, conoscenza, attenzione agli ultimi, comprensione dei fenomeni storici e sociali, attenta analisi delle differenze e partecipazione attiva ai grandi cambiamenti verificatisi nell’ultimo decennio.
La politica che è cambiata per sempre, oltreoceano, grazie alle marce e alla lotta non violenta dell’uomo che ebbe il coraggio di pronunciare un memorabile discorso davanti al Lincoln Memorial Hospital, parlando del sogno di uguaglianza nelle opportunità e nei diritti che dovrebbe costituire la ragione di vita di chiunque non si arrenda all’orrore cui stiamo assistendo.
La politica che sembra essersi dimenticata di Giulio, arrivando addirittura a rimandare l’ambasciatore in Egitto, incurante delle conseguenze che una decisione così miope avrebbe avuto per il nostro Paese.
Giulio e Coretta, proprio per le loro profonde differenze, per il loro essere vissuti in epoche diverse, in continenti diversi, in mondi che non avevano nulla o quasi in comune l’uno con l’altro, costituiscono un messaggio di fratellanza universale, il valore supremo che ci fa sentire vicini a chiunque stia soffrendo sotto il tallone di un regime, a cominciare da Patrick Zaki, lo studente egiziano che studiava a Bologna, indegnamente detenuto in un carcere del Cairo da quasi un anno; senza dimenticarsi di tutti i Giulio egiziani di cui non conosciamo i nomi e che, invece, meriterebbero molta più attenzione da parte dei mezzi d’informazione.
Indignarsi non basta, è vero, ma rinunciare all’indignazione è il primo passo verso l’indifferenza, il cancro di quest’epoca ingiusta, il disvalore che non possiamo più permetterci.
Rendere omaggio a queste due figure, tenerne viva la memoria e continuare a chiedere verità e giustizia per chiunque si batta e cada sotto i colpi della tirannide, ovunque essa agisca, significa, invece, per dirla con Gramsci, “essere cittadini e partigiani”, cioè vivere.
Iscriviti alla Newsletter di Articolo21