Brutta avventura per la rivista on-line spagnola Contexto, diretta dall’ex corrispondente da Roma de El Paìs, Miguel Mora, condannata in una causa civile, malgrado la sentenza, sancisca che la notizia era vera, verificata e di interesse pubblico.
Oltre che al risarcimento dell’onore del querelante per 5000 euro (la richiesta era di 72 mila) e alla cancellazione dell’articolo, CTXT subisce una vera e propria censura preventiva con la diffida a “astenersi dalla divulgazione e pubblicazione di qualsiasi informazione relazionata con la notizia che ha dato origine al presente procedimento che non sia il rigoroso adempimento della presente sentenza”. Anche solo nominare il querelante può determinare, per CTXT, ben più pesanti sanzioni per non aver ottemperato a un ordine giudiziario. La rivista è stata inoltre condannata alla pubblicazione immediata a sue spese della sentenza sulle testate El Paìs e El Mundo. CTXT, che ha riportato in un articolo la sentenza senza fare il nome di Resines, farà ricorso davanti alla Audiencia Provincial de Madrid, ritenendo inaccettabile che qualsiasi istanza giudiziaria possa qualificare un’informazione certa, elaborata secondo i parametri deontologici del giornalismo, senza contenere offese personali, come un vulnus al diritto all’onore e alla dignità professionale. Informare è pericoloso, spiegano in un editoriale della rivista. Malgrado ciò, l’esecutività della sentenza per quanto riguarda soprattutto la sua pubblicazione, rappresenta un impegno economico che, unito alle spese legali, mette a rischio la prosecuzione di quest’importante esperienza giornalistica.
Per ricostruire i fatti bisogna risalire al giugno 2016, quando CTXT pubblica un articolo nel quale il giornalista Francisco Pastor, condannato assieme alla testata e al direttore, informa che il noto attore Antonio Resines, allora presidente dell’Accademia del cinema spagnolo, a sole due settimane dall’evento di quell’anno aveva fondato una società privata per gestire in esclusiva i diritti dei Premi Goya – i David di Donatello della cinematografia spagnola – organizzati dall’Accademia. Nel pezzo vengono riportate le verifiche documentali e diverse dichiarazioni di altri componenti dell’Accademia e della sua giunta direttiva molto critiche con le modalità “segrete” dell’operazione, senza cioè che gli altri membri della giunta ne fossero a conoscenza.
Il giorno dopo l’attore infuriato telefona alla redazione e minaccia di far chiudere la testata e presentare una denuncia penale se la notizia non fosse stata eliminata. La redazione spiega che le notizie erano verificate e che il problema non erano loro ma semmai la reazione dei membri dell’Academia alla gestione dell’operazione; che da lì proveniva la comunicazione alla stampa della notizia e parte della documentazione a conferma; che il giornalista aveva inutilmente tentato di sentire Resines per sentire la sua versione e che questi si era negato; che, infine, non avrebbero levato la notizia ma ne avrebbero modificato il titolo che tanto lo aveva colpito (“Resines ‘privatizzò’ il Gala dei Goya e c’è chi chiede la sua testa per questo”, diventa “Resines creò un’impresa per sfruttare i Goya”) e che avrebbero volentieri accolto e pubblicato una sua versione dei fatti. Fu l’unica volta che si sentirono direttamente, Resines non inviò la sua versione e qualche giorno dopo arrivò un testo dell’ufficio stampa dell’Academia in 21 punti, sintetizzati a sei nel corpo dell’articolo con un link, nel sommario del pezzo, alla versione estesa.
La settimana successiva alla pubblicazione Resines presentò le sue dimissioni da presidente de la Academia de Cine con una lettera nella quale le definiva “irrevocabili” e motivate “in base a serie divergenze con parte della giunta direttiva che hanno reso impossibile negli ultimi mesi il lavoro quotidiano della terna presidenziale nell’istituzione”.
Alla fine del mese arriva alla rivista la comunicazione della denuncia penale di Antonio Fernández Resines che reclama 600.000 euro di indennizzo per ingiuria e lesione all’onore, contro Revista Contexto S.L, il direttore, il giornalista, il primo amministratore unico della testata, che già non lavorava più lì, e addirittura contro la redattrice che aveva editato il testo, il cui nome figurava nella manchette e che era stato erroneamente ritenuto dall’avvocato di Resines essere quello dell’editrice. Resines si impegnò a far sapere alla stampa che aveva presentato una denuncia penale, ottenendo subito due risultati: mettere in pericolo e a rischio chiusura la rivista che pubblicò quello che altri non si azzardarono a pubblicare e mandare un chiaro segnale ad altri media di quanto fosse rischioso parlare del fatto. Nel settembre 2016 in Tribunale di Madrid rigettò la richiesta non individuando indizi di delitto nella pubblicazione dell’informazione.
Il noto attore si rivolse allora alla giustizia civile chiedendo questa volta 72 mila euro di danni. L’udienza preliminare si tenne a ottobre, in piena seconda ondata dell’epidemia da Covid-19. La giudice, assegnata al caso all’ultimo minuto per gli stravolgimenti del calendario dovuti all’epidemia, riconobbe che non aveva avuto il tempo di leggere nulla, neanche l’articolo, interrogò un testimone di Resines e accolse la querela.
La condanna è arrivata inaspettata e il dispositivo della sentenza è sorprendente, perché sancisce che la notizia «non riportava voci né invenzioni”, “venne verificata documentalmente e le fonti erano affidabili”, che “c’è stata una dovuta e ragionevole diligenza dell’informatore nel verificare una notizia di rilevanza pubblica” e purtuttavia ha condannato la testata.
Le grandi testate spagnole non hanno espresso solidarietà o preoccupazione per l’inaccettabile censura preventiva imposta a CTXT, come del resto prima avevano evitato di riportare la vicenda. Forse la critica al sistema dell’informazione come problema della democrazia spagnola portata avanti dalla rivista nel suo progetto editoriale e nella pratica quotidiana, il continuo lavoro di traduzione del racconto che la grande stampa fa del paese, e di disvelamento degli interessi che tutela, spinge meno alla solidarietà e alla responsabilità riguardo alla libertà d’informazione. Come la sentenza afferma, infatti, la notizia “ha avuto una scarsa eco nella stampa seria (sic)”, e così è stato per la condanna.
Non per i sindacati dei giornalisti spagnoli e per l’Associazione internazionale dei giornalisti che ha denunciato la condanna della rivista “per lo stile di redazione di una notizia”.
Agustín Yanel, segretario generale della Federazione dei sindacati di giornalisti (FeSP), ha sottolineato che “Sorprende che una giudice riconosca che la rivista ha agito correttamente nel pubblicare un’informazione di interesse generale ma allo stesso tempo la condanni a non pubblicare in futuro nulla che sia in relazione con questa notizia. È una decisone contraria al diritto costituzionale a comunicare informazioni veritiere”. L’associazione di giornalisti del sindacato UGT ha espresso la sua solidarietà ai colleghi e alle colleghe di CTXT, segnalando che “la magistrata potrebbe stare partecipando a un attacco alla libertà di opinione”. La Federación de Asociaciones de Periodistas de España (FAPE) ha dichiarato che “non si può limitare il diritto a informare su un fatto concreto conseguente a un procedimento giudiziario. Pertanto bisogna considerare la decisione giudiziaria come una censura a informare su un fatto specifico. L’imposizione di una censura preventiva comporta una minaccia alla libertà d’informazione impropria per un paese democratico”.
Contexto è la testata on-line diretta e fondata da Miguel Mora, ex corrispondente de El Paìs da Lisbona, Roma e Parigi, quotidiano da cui si è allontanato nel 2014 in disaccordo con le politiche aziendali sui licenziamenti messi in campo in quegli anni dall’editore. È una rivista di carattere decisamente progressista, nata con un prestigioso comitato editoriale internazionale, presieduta ad honorem dal filosofo e linguista Noam Chomsky, con un programma editoriale teso alla difesa e alla produzione di un giornalismo totalmente indipendente dal potere economico e politico e rispettoso della deontologia professionale, il che non esclude, anzi, la presa di posizione su fatti della politica e della società spagnola. Il racconto giornalistico della Spagna da parte di CTXT è libero e offre su molti temi una voce quasi unica, diversa e opposta all’uniformità del sistema informativo spagnolo su questioni come la crisi catalana, i nazionalismi locali e quello centralista, lo stato della democrazia spagnola, il ruolo dei media e delle società di borsa nella formazione delle scelte politiche, la casa reale. Recentemente, con un consorzio di testate indipendenti, ha commissionato a un istituto specializzato un’approfondita indagine demoscopica sul re e sulla monarchia spagnola, rompendo un colpevole silenzio di anni da parte delle istituzioni preposte e del giornalismo.
La sentenza giunge dopo la condanna alla rivista satirica Mongolia per l’uso dell’immagine di una figura pubblica non apprezzata dal protagonista. Quello che avviene, nell’accettazione dei tribunali, è l’utilizzo degli strumenti della giustizia civile per silenziare il diritto di cronaca e di opinione. La sentenza non condanna per aver pubblicato il falso, sancisce anzi che i fatti erano veri, ma perché “la forma di redigerlo manifesta un’intenzione che colpisce il ‘prestigio professionale’” del conosciuto attore. Una questione di stile, dunque. Frasi come “maneggiare i fondi” esprimono secondo la giudice un’idea di “macchinazione e intrighi”. Come prova di questo teorema la sentenza produce un tweet (uno, con un solo like e nessun retweet) di un utilizzatore della piattaforma che riportava e commentava la notizia nel 2016. Un criterio che, contro le testate rappresentative dei poteri economici spagnoli, non verrebbe preso in considerazione, perché applicazione del diritto di cronaca, dagli stessi tribunali che, invece, condannano una testata libera e irriducibile a ogni cordata come CTXT.
Le querele temerarie sono, in Spagna come in Italia, un problema che meriterebbe di essere affrontato con un’apposita iniziativa legislativa. Rappresentano uno strumento per limitare per via economica il diritto all’informazione, soprattutto per le testate medio piccole e i singoli giornalisti free lance, fulcro della pluralità dell’informazione. In Italia in genere i giudizi riconoscono il diritto a informare, anche se spesso i costi legali costituiscono una mazzata per le testate e i giornalisti coinvolti. In Spagna sono una mazzata anche le sentenze.
L’immagine è tratta da: CTXT.ES, Libertad de expresión, di Malagón