E’ finita la presidenza Trump. Il più grande stress-test per la democrazia americana. Dopo lo “zio pazzo”, collerico, divisivo, mediocre arriva “nonno Biden” sedativo, esperto, modesto. Nello spazio di un giuramento, la più grande potenza mondiale (ancora per poco) passa da una presidenza dionisiaca di provocazioni e sovranismo violento, a una fase apollinea di ricerca di armonia, unità, responsabilità. Trump ha governato usando il registro dell’emozione spingendo i suoi all’eccitazione e infine alla “marcia”, che ha portato gli scarponi dei “patrioti” sulle scrivanie del Congresso. Per poi andarsene con una promessa dal tenore sovversivo: “In qualche modo ritorneremo”, come se ci fossero altri modi, oltre alle elezioni, per tornare al potere.
Biden deve suturare questa ferita profonda, con un occhio in casa alle ingiustizie alla base del Black Lives Metter, alla pandemia fuori controllo e a un’economia affaticata. E l’altro, rivolto agli equilibri globali e ambientali, che Trump ha trascurato, ora tutti da riqualificare. Tutto archiviato quindi? Niente affatto: il megalomane non giocherà solo a golf. Perché il narcisismo offende il distorto senso di giustizia di chi ne soffre con una domanda insopprimibile: perché se sono il migliore non devo avere il potere che mi spetta? In questa visione malata del proprio ego, ogni elezione contraria è manipolata, ogni vittoria altri è un furto, ogni violenza per conquistare il potere è legittima difesa. Non illudiamoci: Trump tornerà.
Iscriviti alla Newsletter di Articolo21