Forse l’America ce la farà anche stavolta, ratificherà la vittoria di Biden e riuscirà a liberarsi di un fardello divenuto ormai insostenibile e pericoloso come il suo, per fortuna ex, presidente. Fatto sta che cio che è accaduto a Washington nel giorno dell’Epifania non può, in alcun modo, essere sottovalutato o derubricato a folklore. L’azione eversiva, golpista e criminale di un gruppo, neanche troppo esiguo, di invasati trumpiani, radunatisi nella capitale in barba a tutte le norme anti-Covid, denunciando inesistenti brogli elettorali, agitati ad arte da un uomo ormai in preda al delirio, ci dice chiaramente che è il concetto stesso di democrazia a essere sotto attacco. È possibile che un episodio del genere si ripeta ovunque, anche da noi. Sottovalutare il pericolo, minimizzarlo, far finta che nulla sia accaduto, andare oltre e non rendersi conto del rischio che stiamo correndo, con l’economia a pezzi, il lavoro che manca, le imprese che falliscono e le code di fronte alle mense dei poveri che si allungano di giorno in giorno, sarebbe irresponsabile e complice.
La democrazia, è bene ricordarselo, non è mai acquisita per sempre e, a pensarci bene, si tratta di una conquista recente, di un valore costato sangue, di un traguardo raggiunto appena dette decenni fa, dopo regimi tremendi e una catastrofe globale che costò all’umanità circa sessanta milioni di morti.
La democrazia è sotto attacco da decenni, per via del mutare di equilibri che credevamo immutabili e invece ci sono esplosi fra le mani.
La democrazia è sotto attacco perché non è più, palesemente, in grado di far fronte alle sfide enormi che ci vengono poste dalle multinazionali e da interessi potentissimi che preferiscono appoggiarsi a regimi che democratici non sono, ad esempio la Cina, che è riuscita a sconfiggere la pandemia prima di noi, utilizzando metodi che da noi, per fortuna, sono ancora inconcepibili.
La democrazia è sotto attacco non per la sua lentezza ma per la mancanza di interpreti adeguati, a dimostrazione della fragilità della classe dirigente globale e delle conseguenze nefaste di un riassetto dell’Occidente dopo la conclusione del Secolo breve che non è ancora avvenuto.
La democrazia va in crisi quando i cittadini non avvertono più la sua importanza, quando viene meno la tensione etica che sola può sorreggerla, quando si comincia a pensare che sia un orpello, quando addirittura la si considera accantonabile in nome di abbagli futuristi che finiscono sempre nella stessa maniera.
La democrazia è resiliente ma non all’infinito. Può ancora resistere, può ancora farcela se sapremo innalzarne la bandiera e rafforzarne i muri portanti, se sapremo scrivere un nuovo Patto Atlantico fondato su valori che non siano più meramente difensivi e militari ma culturali e civici, se accantoneremo un modello di sviluppo disumano e nocivo, se daremo risposte adatte al malessere sociale dilagante, se modificheremo le nostre abitudini e uno stile di vita incompatibile con le risorse sempre più insufficienti di un pianeta in affanno, se prenderemo sul serio questo assalto a Capitol Hill e ci renderemo veramente conto che, se è accaduto lì, nessuno può considerarsi al sicuro. Per due decenni, dall’11 settembre in poi, abbiamo abbinato l’idea di sicurezza alla difesa dai nemici esterni, erigendo muri neanche troppo virtuali, chiudendo di fatto le frontiere e perdendo di vista i demoni presenti all’interno delle nostre società, sempre più sfibrate e irrequiete. Adesso siamo chiamati a fare i conti con un’altra idea di sicurezza: la sicurezza sul lavoro, la sicurezza dei diritti, la sicurezza che deriva dalla salute e dalla certezza di essere curati indipendentemente dal ceto cui apparteniamo. Siamo chiamati, insomma, a reinventare l’Occidente o a sparire, a vivere nuovi assalti alle sedi del Parlamento, ad assistere a nuovi Trump e a una progressiva discesa verso l’autoritarismo.
Condannare il trumpismo, la sua barbarie e le sue conseguenze nefaste è un dovere morale. Comprendere i motivi per cui settanta milioni di americani, nonostante tutto, lo scorso novembre gli abbiano rinnovato la propria fiducia anche. Il trumpismo è stato sconfitto oltreoceano ma è ben lungi dall’essere svanito. Sta ai progressisti e alla sinistra mondiale interrogarsi e trovare le risposte adeguate affinché la disperazione di chi sente di non avere nulla da perdere, magari anche perché ha un livello di scolarizzazione troppo basso per capire a quali rischi espongano la collettività determinate scelte, trovi conforto e rappresentanza ad opera di chi per decenni ne ha tradito la fiducia e deluso le aspettative.