La giustizia britannica ha bloccato l’estradizione in Usa del fondatore di Wikileaks, Julian Assange, sulla base della convinzione che, data la sua condizione mentale, rischierebbe il suicidio in un carcere statunitense. A emettere il verdetto, a sorpresa rispetto alle attese, è stata la giudice Vanessa Baraister.
La giudice ha respinto le affermazioni della difesa, secondo cui Assange sarebbe protetto dalle garanzie legate alla libertà di espressione, affermando che la sua “condotta, se provata, ammonterebbe in questa giurisdizione a reati non protetti dal diritto di libertà di stampa”. Tuttavia, ha detto Baraitser, il 49enne soffre di depressione clinica, che si aggraverebbe se dovesse affrontare l’isolamento cui sarebbe probabilmente sottoposto nelle carceri del Paese nordamericano. Assange, ha detto la giudice, ha “le capacità intellettuali e la determinazione” per aggirare qualsiasi misura di prevenzione del suicidio che le autorità possano applicare.
Negli Stati Uniti il fondatore australiano di WikiLeaks deve rispondere di 18 capi di imputazione tra spionaggio informatico e pirateria informatica per aver contribuito a svelare file riservati americani relativi fra l’altro a crimini di guerra in Afghanistan e Iraq. Oltreoceano rischiava una condanna a 175 anni.
Il governo di Washington ha ora 14 giorni di tempo per ricorrere contro la sentenza e il rappresentate legale dell’ambasciata Usa ha già preannunciato che lo farà. Intanto la difesa dell’hacker australiano ha fatto sapere che chiederà la libertà su cauzione del suo cliente.
“Una farsa impensabile”, così la compagna Stella Moris, che da Assange ha avuto due figli, aveva definito un’eventuale estradizione arrivando questa mattina al tribunale londinese di Old Bailey.