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Tempo umano e tempo della natura. Riflessioni su ‘Le Onde’ di Virginia Woolf

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Le Onde, settimo romanzo di Virginia Woolf, è stato pubblicato nel 1931 dopo tre anni e mezzo di gestazione. Un’opera stratificata che richiede molta dedizione e attenzione, soprattutto da parte di chi non ha dimestichezza con la scrittura di Woolf.

Se con Mrs Dalloway Gita al faro la scrittrice inglese aveva lavorato sul flusso di coscienza e sulla scansione temporale, con Le Onde la sua sperimentazione si spinge oltre. Woolf crea infatti una narrazione impersonale che corrisponde alla nuda percezione delle cose, dove non esiste più un punto di vista definito (istanza narrante) ma un contrappunto di voci che frammentano la realtà in sei quadri, tanti quanti sono i personaggi.

Il vero protagonista de Le onde è il tempo, che nella concezione di Woolf  non è né lineare né teleologico. Ricordiamo che la scrittrice apprezzava molto le teorie del filosofo francese Henri Bergson, che non considerava il tempo un’unità di misura assoluta ma l’incontro tra un flusso e la coscienza individuale. Semplificando si potrebbe sostenere che il tempo non esiste come dato esteriore e che per ognuno cambia in modo soggettivo. Le Onde indaga la relazione tra il tempo della natura (ciclico) e quello dell’essere umano (informe); come mostrano gli inserti lirici, una giornata della Terra corrisponde all’intera esistenza di una persona. L’incipit infatti è ambientato all’alba, quando i protagonisti sono bambini e si conclude con le onde che si rompono a riva dopo il tramonto, con i personaggi ormai anziani.

Il libro racconta attraverso sei monologhi le vite di Bernard, Susan, Louis, Rhoda, Jinny e Neville, che il primo giorno di scuola si intrecciano indissolubilmente. Ognuno di loro rappresenta una parte della scrittrice, che era una donna molto colta, intelligente e ironica ma anche segnata da profonde ferite. Per quasi tutta la sua vita alternò momenti di serenità a periodi di grave depressione, in cui veniva risucchiata dalle sue ombre (ricordiamo che morì sucida nel 1941 a 59 anni).

Woolf proveniva da una famiglia dell’alta borghesia intellettuale e pur non avendo frequentato l’università (essendo preclusa alle donne) grazie al padre studiò la letteratura classica, compreso greco e latino. Il primo evento traumatico che visse fu la morte della madre a 13 anni e sia lei che l’amata sorella Vanessa subirono per anni molestie dai fratellastri. Anche per questo motivo quando il padre morì, Virginia e Vanessa, assieme agli altri due fratelli a cui erano legate, andarono a vivere a Bloomsbury. Proprio in quella casa crearono quello che ancora oggi viene definito il Bloomsbury Group, frequentato da tantissimi artisti e pensatori tra cui Forster, Russell, Wittgenstein. Erano feste che davano scandalo, perché chi vi faceva parte non condivideva la pudica morale vittoriana e credeva nell’amore libero. Fu proprio in una di queste serate che Virginia conobbe Vita Sackville-West, una scrittrice aristocratica con la quale ebbe un’intensa relazione amorosa che poi si trasformò in una grande amicizia durata tutta la vita. Fu pensando a lei che scrisse Orlando, il suo più grande successo commerciale.

Oggi Virginia Woolf è annoverata tra i più grandi nomi della letteratura del ‘900 ma curiosamente per i suoi contemporanei non godeva di tale prestigio. C’è stato un recupero della sua figura a partire dagli anni ’70, quando molte scrittrici e critiche cominciarono a rivalutare la sua scrittura sperimentale. Ricordiamo per esempio che Una stanza tutta per sé Le tre ghinee sono considerate due opere fondamentali all’interno del pensiero femminista.


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