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Il Mes brucia i grillini

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Alle volte, in politica, è possibile conciliare l’inconciliabile. La rocambolesca impresa è riuscita al M5S ma il tabù sul Mes è incrinato. Conte, Di Maio e Crimi sono ricorsi al bizantinismo parlamentare. Il presidente del Consiglio, l’ex capo politico cinquestelle e l’attuale reggente hanno argomentato: una cosa è il vituperato Mes e un’altra è la sua riforma.

Così i deputati e i senatori grillini, salvo qualche dissidente dell’ala dura, hanno votato alla Camera e al Senato in favore della risoluzione di maggioranza a sostegno della riforma del Mes (che pure contestano). Luigi Di Maio cerca di iniettare fiducia alla base costernata con un’acrobatica assicurazione: l’Italia non utilizzerà «mai» prestiti europei del Meccanismo europeo di stabilità.

Chissà cosa penserà Beppe Grillo. Appena qualche giorno fa aveva ribadito il secco no di sempre al Mes. Il titolo di un articolo sul suo blog era netto e graffiante: «La Mes è finita». Il garante dei cinquestelle ripeteva: è «uno strumento non solo inadatto ma anche del tutto inutile».

Ma l’approvazione della riforma del Mes per ora ha salvato il governo giallo-rosso. Nicola Zingaretti e Matteo Renzi lo consideravano e lo considerano un perno politico e finanziario indispensabile. Per il Pd e Italia Viva, che contestano l’accentramento di poteri di Conte con comitati e commissari,  era ed è impossibile sostenere un esecutivo con dentro posizioni opposte in politica estera. Soprattutto per Zingaretti era impossibile una retromarcia perché era ed è il garante riformista verso Bruxelles della linea europeista del governo contro le pulsioni populiste e sovraniste pentastellate e della destra.

Il Mes è un tabù storico per i grillini. Ricorda le condizioni capestro imposte dall’Unione europea alla Grecia per il suo utilizzo. Grandi prestiti arrivarono ad Atene in crisi ma i draconiani parametri al deficit pubblico comportarono tagli paurosi a stipendi, pensioni e ospedali.

Il «no» al Mes è nato con il M5S, accanto a quelli alla Tap (il metanodotto pugliese) e alla Tav (l’alta velocità Torino-Lione). Questi «no» poi si trasformarono in dolorosi «sì» per le esigenze di governo. Da quelle retromarce iniziò la frana elettorale cinquestelle. Ma c’è dell’altro. I pentastellati cadono in un nuovo incubo. E se qualcuno nel governo ora chiederà i prestiti del Mes per rafforzare la sanità pubblica in affanno contro il Covid-19?


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