BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Migranti torturati lungo la rotta balcanica

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Le denunce di Amnesty e di altre organizzazioni per i diritti umani fanno scattare l’indagine del difensore civico europeo, mentre la rete “Rivolti ai Balcani” denuncia il coinvolgimento dell’Italia in respingimenti illegali

Le immagini più recenti delle violenze contro migranti e richiedenti asilo sono state pubblicate dal Border Violence Monitoring (BVM), una rete di associazioni che monitora lo stato dei diritti umani lungo la rotta balcanica. Provengono da Poljana, un villaggio di campagna al confine fra Bosnia Erzegovina e Croazia. Ci sono uomini mascherati, armati di bastoni e fruste, che respingono con violenza alcuni migranti verso la Bosnia. I picchiatori, secondo l’inchiesta del BVM, apparterrebbero alle forze di polizia e di sicurezza della Croazia.

Sono mesi che diverse organizzazioni per i diritti umani accusano la polizia croata di pestaggi nei confronti dei migranti, pratiche umilianti, come dipingere una croce sulla testa dei  richiedenti asilo, finte esecuzioni e, in un caso, di stupro. Crimini contro l’umanità secondo la parlamentare europea Clare Daly. Il vice direttore dell’ufficio per l’Europa di Amnesty International, Massimo Moratti, ha invece usato la parola “tortura” per descrivere quello che sta avvenendo lungo la rotta balcanica. Intervenendo al convegno Sulla rotta balcanica, organizzato a fine novembre dalla rete Rivolti ai Balcani, che riunisce 36 diverse associazioni per i diritti umani, ha dichiarato che “diventa sempre peggio. Nonostante le denunce, l’impunità delle forze di polizia continua e addirittura cresce. Gli ultimi eventi hanno alzato l’asticella e vediamo episodi di vero e proprio sadismo che vengono perpetrati nei confronti di coloro che cercano di entrare in Unione Europea.”

La risposta della Croazia

Per il governo della Croazia, paese entrato nell’Unione nel 2013 ma non ancora ammesso allo spazio Schengen, si tratta però di “accuse infondate”. Il ministro dell’Interno Davor Božinović, nel replicare alle denunce, ha inoltre lanciato un monito alle istituzioni europee e ai paesi del nord Europa, quelli che i migranti vorrebbero raggiungere: “I paesi verso cui questi migranti sono diretti, e le istituzioni europee, devono decidere se queste persone sono benvenute o no. La polizia croata è sempre più criticata, perché se questi attraversano illegalmente il confine, allora non difendiamo bene le frontiere esterne dell’Unione Europea. Se invece non passano, dobbiamo far fronte a questi attacchi delle associazioni per i diritti civili. Noi facciamo rispettare le nostre leggi e le leggi europee, non c’è nessuna violenza e non ce ne sarà, ma non ci sarà neppure alcun cedimento sulla difesa dei confini della Croazia.”

L’ombudsman europeo

Di fronte al muro di gomma di Zagabria e Bruxelles, Amnesty ha però deciso di percorrere le vie legali, chiedendo conto dei soldi (europei) spesi. L’Unione ha assegnato alla Croazia, per il Fondo asilo, migrazione e integrazione, 108 milioni per il periodo 2014-2020, cui si sono aggiunti circa 25 milioni di fondi di emergenza. Sette milioni sono stati dati a Zagabria per “istituire un meccanismo di monitoraggio e garantire che tutte le misure applicate alle frontiere esterne dell’Ue siano nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e delle leggi dell’Ue in materia di asilo”. Questo monitoraggio esiste? Se non esiste, dove sono andati i soldi? Sono stati spesi fondi europei in procedure che violano i diritti umani? La Commissione europea non ha vigilato?

Queste domande sono state rivolte all’ombudsman europeo, l’ufficio preposto a supervisionare sui casi di cattiva amministrazione delle istituzioni di Bruxelles. L’ombudsman ha subito aperto un’indagine, che si concluderà il 31 gennaio. Il procedimento non è contro la Croazia, ma è rivolto alla Commissione Europea, per accertare eventuali inadempienze. Si tratta di un procedimento tecnico, che però potrebbe avere conseguenze importanti sul sistema di gestione dei flussi migratori da parte di Bruxelles.

Respingimenti coordinati dall’Italia verso la Bosnia Erzegovina

La rotta balcanica non esiste più dal 2016. Al suo posto si sono create tante rotte balcaniche, che traversano il sud est Europa cambiando continuamente direzione, anche in base al grado di violenza esercitato dalle diverse forze di polizia. Al confine tra Serbia e Macedonia del Nord, ad esempio, l’organizzazione non governativa Legis, di Skopje, ha denunciato recentemente violenze brutali della polizia serba, analoghe a quelle segnalate in Croazia. Quanto avviene in Croazia, però, coinvolge molto più direttamente l’Italia. Secondo la rete Rivolti ai Balcani, infatti, i respingimenti operati dalle forze di Zagabria sarebbero spesso l’ultimo anello di una catena coordinata fra le forze di polizia di Italia, Slovenia e Croazia, organizzata tramite accordi bilaterali di riammissione che violerebbero le regole di Dublino e la più generale normativa sull’asilo.

Per Anna Brambilla, avvocata dell’ASGI – Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, questi accordi, in particolare, sono uno strumento creato per “aggirare e violare il diritto di non respingimento e di espulsioni collettive”. Circa un migliaio di persone sarebbero state respinte dall’Italia alla Slovenia solo nel 2020 con questi accordi, incluse persone appartenenti a gruppi vulnerabili e minori non accompagnati. Dalla Slovenia, il viaggio a ritroso prosegue.

Obiettivo degli accordi di riammissione tra Italia, Slovenia e Croazia sarebbe infatti quello di riportare i migranti fuori dai confini europei, in particolare in Bosnia Erzegovina, nel cantone di Una Sana. Nella cittadina di Bihać ci sono circa duemila migranti, accampati in condizioni di fortuna in campi gestiti dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni o in accampamenti informali. Una delle poche associazioni umanitarie presenti sul posto è l’Ipsia-Acli. Da settimane, con l’approssimarsi dell’inverno, la responsabile di Ipsia a Bihać, Silvia Maraone, denuncia le condizioni drammatiche in cui vivono centinaia di persone ammassate nel campo di Lipa, un recinto che avrebbe dovuto essere solo temporaneo, dove non ci sono allacciamenti a elettricità e acqua corrente e dove le temperature, ormai, sono sotto lo zero.


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