Il presidente della commissione parlamentare antimafia Nicola Morra ha evocato nei giorni scorsi la scomparsa ex governatrice della Calabria Jole Santelli con aspri giudizi su chi l’aveva eletta pur sapendo della sua grave malattia.
Successivamente, la direzione della terza rete televisiva della Rai pensava bene di impedire al medesimo Morra di partecipare al talk serale “Titolo V”. Un titolo, un programma, si direbbe.
Una pagina complessivamente orrenda, di quelle da dimenticare dopo, però, un ravvedimento operoso.
Con la morte non si scherza mai, perché – credenti o meno che si sia- si tratta di una linea di confine misteriosa. Un finale di partita comunque drammatico, con cui non si gioca a scacchi come fa il Cavaliere Block nel famoso film di Bergman. E la Morte non lo risparmia. “Il settimo sigillo” è una metafora permanente, ltre che un capolavoro del cinema.
Morra ha certamente sbagliato e forse le sue tardive scuse non sono sufficienti. La vicenda di Jole Santelli, uccisa da un tumore a soli 52 anni meritava e merita rispetto e silenzio.
Alla prima stecca ne è seguita un’altra, se possibile persino peggiore. Perché lo stop imposto alla presenza del citato parlamentare ad una trasmissione del servizio pubblico lede le fondamenta del diritto all’informazione e della libertà di espressione. Siamo nel cuore dell’articolo 21 della Costituzione italiana. Non esiste deontologia presunta che possa sottrarsi ai principi e alle indicazioni della Carta. E il servizio pubblico ha l’obbligo di rispettare sempre il pluralismo e la varietà delle opinioni.
La commissione parlamentare di vigilanza e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrebbero intervenire. Lasciar passare simili scelte significa omissione e complicità.
Alla Morte non si risponde con un peccato mortale.