Norimberga, settantacinque anni fa. Fu la fine del Terzo Reich e di una barbarie durata dodici lunghissimi anni. Dodici anni caratterizzati dalle discriminazioni, della guerra, dall’odio razziale, dai campi di sterminio e da una serie infinita di orrori di cui solo con l’andare del tempo abbiamo compreso l’effettiva portata.
L’apertura del Processo di Norimberga fu un fatto di giustizia, necessario, anzi indispensabile, per porre fine all’abisso nel quale eravamo sprofondati, anche se la nostra posizione in merito alla pena di morte non cambia e non la riteniamo tuttora inaccettabile anche nei confronti del peggiore dei criminali.
Mettere alla sbarra i delinquenti che avevano provocato milioni di morti, devastato l’intera Europa e compiuto atrocità anche nel nostro Paese, invece, fu doveroso, il minimo indispensabile per poter immaginare un mondo diverso, un futuro senza odio, una ricostruzione che sarebbe stata impossibile altrimenti e che sarebbe costata anni di enormi sacrifici, resi sopportabili solo dal fatto che si aveva la certezza di star costruendo insieme un avvenire migliore.
Norimberga costituisce uno spartiacque nella storia dell’umanità, il punto di non ritorno fra il prima e il dopo, fra il tormento e la speranza, fra l’impunità e il ritorno dello Stato di diritto, fra la dittatura e la democrazia, fra l’Europa dei tiranni e l’Europa che da quel momento avrebbe cominciato a cooperare in maniera sempre più assidua, fino a giungere ai Trattati di Roma e a tutte le successive evoluzioni di una collaborazione divenuta imprescindibile.
Ricordare il Processo di Norimberga, pur ribadendo che per noi i criminali nazisti avrebbero meritato l’ergastolo ma non la pena di morte, significa, dunque, rendere omaggio al sacrificio di milioni di vittime, al coraggio degli oppositori, a chi non si arrese alla violenza più bieca quando tutto sembrava perduto, a chi mantenne la dignità e la rettitudine anche nei momenti peggiori e a chi si è impegnato attivamente affinché una simile tragedia non si ripetesse mai più.
L’importante, specie di questi tempi, è non dimenticare.
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