Avevamo appena festeggiato i suoi novant’anni, scoccati lo scorso 25 agosto, ma questo dannato 2020 ha deciso che non può concederci neanche un giorno di tregua, e così oggi siamo costretti a dire addio a Sean Connery, icona del cinema mondiale, la cui fama è indissolubilmente legata al ruolo di 007 che interpretò negli anni Sessanta.
Nato dalla penna di Ian Fleming, l’agente segreto più noto del pianeta incontrò il fascino dell’attore scozzese quasi per caso e non se n’è mai separato: ogni successore ha sempre dovuto fare i conti con il paragone e nessuno, per quanto abile e ugualmente dotato di una figura da divo, è mai riuscito a scalzarlo o anche solo ad avvicinarsi all’originale. Perche Connery è stato unico nel suo genere: il primo, il più bravo, colui che ha incarnato la Guerra fredda e il soft power occidentale nei confronti dell’Unione Sovietica, il mito divenuto leggenda che a quel ruolo ha avuto la forza di non legarsi in eterno, preferendo dirgli addio all’apice del successo per concentrarsi su altri personaggi epici del cinema. È stato il protagonista de “Il nome della rosa”, tratto dal capolavoro di Umberto Eco, e poi ne “Gli intoccabili” e in tante altre opere entrate a far parte dell’immaginario collettivo.
Connery, nato abbastanza povero e costretto a svolgere molti mestieri prima di trasformarsi in ciò che è diventato, non ha ricevuto alcun regalo dalla vita: ha tagliato ogni traguardo con fatica e sacrificio, impegno e passione, un’ironia tipicamente anglosassone e una scozzesità profonda che lo rendeva un personaggio schivo e, al contempo, travolgente.
Sean Connery è stato mille persone in una: un lottatore, un grande attore, un divo di prima grandezza, un pensatore globale, un’icona ma, soprattutto, un uomo, un vero uomo, capace per tutta la vita di uscire di scena al momento opportuno. Dal 2006, ad esempio, aveva detto addio alle scene: non voleva correre il rischio di affrontare il declino in diretta, non voleva che neanche un errore potesse inficiare la sua carriera pressoché irripetibile.
Negli ultimi anni si è concentrato su una battaglia che gli stava particolarmente a cuore e che, personalmente, non condividevo affatto: l’indipendentismo scozzese, la secessione dal Regno Unito che, dopo la Brexit, è tornata tristemente d’attualità.
Se n’è andato nel sonno, senza soffrire, ancora una volta con tempismo perfetto, senza sbagliare una mossa, chiudendo il cerchio di un’esistenza in cui ogni passaggio è stato compiuto al momento opportuno, con una perfezione spontanea che ne ha accresciuto la grandezza e reso indimenticabili le interpretazioni.
Sean Connery ha recitato per tutta la vita la parte dell’inafferrabile, prima di arrendersi all’umanissima fine con gentilezza, cosciente che il sipario sulla sua avventura non calerà mai.
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