L’emergenza della pandemia richiede una collaborazione fra Enti. Ne abbiamo parlato con il giurista Roberto Zaccaria
Cinquant’anni fa una legge dello Stato favoriva la nascita delle Regioni a Statuto ordinario. Il regionalismo, già definito nella Costituzione del 1948 e avviato parzialmente con le cinque Regioni a Statuto Speciale, diventava una realtà. Abbiamo chiesto al professor Roberto Zaccaria, costituzionalista, di aiutarci a riflettere sul contributo che le Istituzioni regionali hanno dato alla democrazia e all’assetto della nostra Repubblica.
«Le Regioni sono parte essenziale della nostra struttura costituzionale. Erano infatti previste nell’impianto originario del 1948 e, secondo il disegno dei costituenti, dovevano rappresentare uno degli elementi caratteristici della nostra forma di Stato. Furono soprattutto i partiti di sinistra, che erano stati estromessi, nel 1947, dal Governo nazionale a spingere inizialmente per la loro attuazione. Dalla destra si erano sollevate inizialmente delle perplessità, legate ai maggiori costi che avrebbero generato. I governi di centrosinistra, a guida democristiana, mantennero però l’impegno e con l’approvazione, prima, di una legge elettorale (n. 108/68), e, successivamente, di una legge finanziaria (n. 281/70) consentirono la formazione, in concreto, delle quindici Regioni a statuto ordinario. Fu una stagione bellissima, caratterizzata da un nuovo spirito costituente. Sotto la guida di tre presidenti illuminati, Bassetti (Lombardia), Lagorio (Toscana) e Fanti (Emilia Romagna) si formarono i nuovi Statuti regionali e presto quell’esperienza decollò su scala nazionale. Il modello del regionalismo italiano presenta caratteri originali; si differenzia, sia dal modello del primo decentramento francese sia dall’impronta tipica degli Stati federali di matrice tedesca, con la maggiore autonomia riconosciuta ai Länder. Nel 2001, con l’ultima riforma costituzionale, di grande respiro, le autonomie regionali sono state considerevolmente potenziate, ma si sono create anche aree di potenziale conflitto. Uno dei settori nei quali le competenze statali e quelle regionali s’intrecciano in misura ampia è proprio quella della sanità. Secondo l’art.117, terzo comma, Cost., la tutela della salute, costituisce una materia di competenza concorrente, nella quale possono intervenire, sia lo Stato (determinazione dei principi fondamentali) sia le Regioni, che in pratica gestiscono il Servizio sanitario. Non si deve dimenticare, però, che secondo il disposto del primo comma (lett.m), dell’art.117, Cost., spetta in via esclusiva allo Stato “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.Come si vede siamo di fronte a un reticolato complesso, che solo lo spirito di leale collaborazione tra le Istituzioni nazionali e locali può aiutare a gestire».
L’emergenza Covid-19 ha mostrato un’Italia che, seppur trovandosi in una situazione drammatica, è stata in grado di reagire anche grazie alla funzione delle Regioni e delle autonomie locali. È così?
«Certo, è proprio così. La risposta è implicita in quello che ho appena detto. L’ordinamento regionale ha proprio lo scopo di rispondere in maniera duttile e articolata alle problematiche che si presentano in modo diverso nei diversi territori. Certo è anche essenziale che vi sia una cornice generale che deve ispirare l’intervento complessivo, soprattutto quando gli interventi che si prospettano possano incidere sulla fruizione di alcune libertà fondamentali o sui diritti essenziali dei cittadini, che devono essere goduti in misura uguale su tutto il territorio nazionale. Basta pensare alla libertà di circolazione e soggiorno, alla libertà di iniziativa economica, alla libertà di insegnamento e naturalmente anche alla libertà religiosa. In tutti gli atti normativi che sono stati adottati in tutti questi mesi (dal decreto legge n.19/20 fino al d.l. n.125/20, dalla lunga teoria dei Dpcm e infine alle numerose ordinanze regionali), a seguito della dichiarazione iniziale dello stato di emergenza, la logica ispiratrice è stata proprio questa».
Tuttavia sono evidenti alcune sperequazioni e non sempre è facile districarsi fra gli accavallamenti delle competenze. Per citare un solo esempio del passato, quando fu approvata nel 1978 la legge Basaglia sui trattamenti sanitari per le malattie mentali, le Regioni attuarono le direttive in modo molto diverso. Oggi i servizi alla persona, l’istruzione e addirittura le norme sanitarie continuano subire differenziazioni sul territorio nazionale. Ritiene che sia un bene?
«In un sistema normativo così complesso era inevitabile che si creassero e ancora si creino alcune sperequazioni. In alcuni casi, si deve riconoscere che anche una lettura affrettata delle varie misure, da parte dei media, non ha aiutato. È comunque sicuro che l’orchestra e il coro non hanno dato sempre la sensazione di interpretare lo stesso spartito. Si deve aver presente che le diverse maggioranze presenti nel governo nazionale e nelle Regioni, accompagnate dal protagonismo di alcuni, Presidenti o Governatori, hanno ulteriormente creato alcune confusioni».
La collaborazione istituzionale è l’unica percorribile nell’interesse dei cittadini e dei territori. Ora, in tempo di pandemia, è il momento di rimettere in moto il Paese, la sua economia, per scongiurare l’aumento, già visibile, di nuove povertà. Riusciremo a farlo a suo avviso?
«Il principio della leale collaborazione è il principio cardine per il funzionamento di questo sistema, proprio come ha sostenuto la nostra Corte costituzionale. Certo, solo per fare un esempio, se il Governo centrale vuole garantire prioritariamente il diritto all’istruzione, mantenendo le scuole aperte in tutto il paese, è difficile pensare che un presidente di Regione possa unilateralmente chiuderle, nel suo territorio. In questi casi limite è inevitabile che il giudice-arbitro intervenga al più presto».