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Irina Slavina: se una giornalista decide di darsi fuoco 

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Ciò che è accaduto a Nizhny Novgorod, dove Irina Slavina, una giornalista russa di quarantasette anni, direttrice di Koza Press, si è data di fuoco davanti alla sede della polizia per protestare contro l’ennesimo sopruso subito, non può lasciarci indifferenti.
Sospettata di legami con Open Russia, la fondazione dell’oligarchia anti-Putin Mikhail Kodorkovski, ex magnate del petrolio, costretto a scontare nove anni di prigione a causa delle sue dee politiche e oggi residente a Londra, la Slavina ha subito una perquisizione in casa ed è stata messa nelle condizioni di non poter più far nulla, essendole stato sequestrato tutto il materiale necessario per continuare a lavorare nonché il computer e i telefoni dei familiari.
Non possiamo restare indifferenti perché non possiamo continuare a considerare la Russia un paese normale. Non possiamo far finta di niente perche lì ormai non si tratta più di minacce ai cronisti, di intimidazioni o di botte, episodi ovviamente esecrabili a ogni latitudine, ma, il più delle volte, di veri e propri omicidi o di azioni talmente gravi da indurre al suicidio chiunque non si sia ancora rassegnato alla violenta prepotenza dello zar del Cremlino.
Irina Slavina è solo l’ultimo caso in ordine cronologico: molti l’hanno preceduta, altri la seguiranno, almeno fino a quando la comunità internazionale non deciderà di intervenire, sanzionando la Russia non solo per ciò che ha commesso in Ucraina ma, più che mai, per l’allergia del suo governo alla democrazia.
Spiace dirlo, ma la stessa Unione Europea non è sufficientemente vigile sul tema della libertà d’informazione, benché a presiedere il Parlamento sia un giornalista come Sassoli e nonostante l’autorevole presenza, all’interno della Commisione, di un’altra personalità che ha da sempre a cuore la libertà d’espressione come Paolo Gentiloni.
Del resto, come potrebbe essere sensibile o manifestare le proprie convinzioni un’istituzione costretta a subire il ricatto di figure come il presidente ungherese Orbán, ossia il dominus di un paese in cui la libertà di stampa non esiste quasi più e le intimidazioni nei confronti di giornalisti scomodi e oppositori politici sono all’ordine del giorno?
Il rogo che ha ucciso la Slavina, questa versione contemporanea del sacrificio di Jan Palach in piazza San Venceslao a Praga, ci interroga sulla natura del mondo nell’anno di grazia 2020, inducendoci a riflettere sulla miriade di conquiste democratiche che stanno venendo meno e costringendoci a fare i conti con un simulacro di democrazia anche in paesi, penso ad esempio agli Stati Uniti, che un tempo consideravamo a ragione un faro in materia.
Tra le fiamme che hanno ucciso Irina Slavina è bruciata, dunque, anche la nostra dignità di occidentali, il nostro amore per la cultura, il nostro desiderio di difendere sempre e comunque l’operato dei cronisti indipendenti, la nostra passione politica e civile, il nostro senso di ribellione di fronte a ogni ingiustizia, la nostra volontà di guardare al domani e la nostra fiera opposizione a ogni tirannia, qualunque sia il suo colore politico.
Aveva dichiarato la Slavina a The Insider: “Prima che iniziasse la perquisizione mi è stato offerto di consegnare volontariamente opuscoli e volantini di Open Russia. È chiaro che non potevo in alcun modo aiutare l’indagine, dato che non ho nulla a che fare con Open Russia”. E ancora: “Si sostiene che Open Russia finanzi le proteste a Nizhny Novgorod contro lo sviluppo predatorio e peggiorativo di una delle aree verdi più iconiche della città, il parco Svizzero.
Si afferma che Open Russia finanzia queste proteste di massa, mentre la gente va del tutto volontariamente e ogni martedì si trova in una “catena umana” vicino al parco. Come giornalista, non posso ignorare questi eventi e ne ho scritto. Inoltre, io stessa ho partecipato due volte alla catena, perché quello che sta succedendo non può che riguardare me come residente di Nizhny Novgorod e come cittadina”.
Fra pochi giorni ricorrerà il terzo anniversario dell’assassinio di Daphne Caruana Galizia, avvenuto a Malta il 16 ottobre 2017, e, tornando alla Russia, il 7 ottobre, giorno del compleanno di Putin, saranno quattordici anni dall’omicidio di Anna Politkovskaja. Tacere di fronte a tutto questo, almeno per noi, non è accettabile.

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