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Maria Rita Gismondo e Andrea Crisanti alla Festa de Il Fatto Quotidiano: “Virus e anti virus”

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Alla Festa de Il Fatto Quotidiano che quest’anno per le restrizioni imposte dal Covid-19 si è tenuta in live streaming, sabato 5 settembre, hanno partecipato al dibattito “Virus e anti virus” la professoressa Maria Rita Gismondo direttrice del laboratorio di Microbiologia clinica e virologia dell’ospedale Sacco di Milano e del professor Andrea Crisanti direttore del laboratorio di Microbiologia dell’Università di Padova (uno degli ideatori del sistema di individuazione e tracciamento degli asintomatici in Veneto). Intervistati da Gianni Barbacetto i due virologi hanno risposto ad una serie di domande che avevano come obiettivo fare chiarezza sulla situazione attuale nella gestione del Covid-19 in Italia. Le spiegazioni sono state esaustive quanto comprensibili anche in considerazione che gli stessi ospiti della manifestazione hanno voluto sottolineare la loro disapprovazione per come l’informazione dei media ha gestito le notizie sulla pandemia. La dottoressa Gismondo ha usato il termine infodemia nel rispondere all’intervistatore che chiedeva il ruolo della stampa: «Si è visto come la comunicazione e la disinformazione abbia avuto un ruolo negativo per aver strumentalizzato il coronavirus grazie anche alla diffusione tramite i sociale e a proposito di chi nega l’esistenza o la pericolosità invito a venire nel mio laboratorio per osservare le provette in cultura dove è contenuto il virus». (Si tratta della fase 1 di una sperimentazione preclinica. Durante gli studi in vitro, la sostanza sperimentata viene messa in una provetta insieme a delle cellule ottenute in coltura e testata, ndr).

Nel frattempo nella stessa giornata di sabato a Roma si è svolta una manifestazione di negazionisti che si definiscono “risveglisti” per protestare contro il governo e la “dittatura sanitaria” che secondo gli organizzatori ha “privato la libertà degli italiani”. Annullata ogni precauzione i partecipanti si sono raggruppati senza mascherina evitando anche il distanziamento. Tra insulti al governo e al presidente della Repubblica, si sono viste scene imbarazzanti come quella di un uomo travestito da Gesù che bruciava a favore delle telecamere l’immagine del Papa, il saluto romano e slogan inneggianti a Trump.

Alla domanda se il pericolo di una pandemia era stato rilevato dagli scienziati oppure il Sars-Cov-2 si è manifestato all’improvviso? la professoressa Gismondo ha risposto così: «Ad ottobre del 2019 si era svolta un’esercitazione in America a cui avevano partecipato rappresentanti di tutto il mondo con la finalità di contrastare un’eventuale pandemia. Non ha sortito nessun effetto ed è stata ignorata, eppure il rischio che avvenisse era molto alto». Barbacetto ha ricordato come mai la stessa Gismondo e molti dei suoi colleghi virologi all’inizio fossero convinti di avere a che fare con una forma virale “poco più grave di una influenza”. «Tutte le pubblicazioni del CNR e dell’OMS fornivano la stessa ipotesi e la convinzione era comune di avere a che fare con un virus non altamente pericoloso. Io stessa lo pensavo e posso dire che per le conoscenze che avevamo all’inizio non abbiamo sbagliato, purtroppo il virus ci ha smentito».

La parola poi è passata ad Andrea Crisanti il quale ha spiegato il caso di Vo’Euganeo nel Veneto dove è stato chiesto come è stato gestito e quali sono state le misure adottate per contenere efficacemente la diffusione dei contagi. «Ad inizio gennaio avevo predisposto il laboratorio per fare decine di test con il tampone (andando contro le direttive emanate dal governo che indicava di farli solo a chi presentava sintomi evidenti, ndr) perché era chiaro da subito che il numero degli infetti permetteva al virus di moltiplicarsi velocemente come è avvenuto, ad esempio in Lombardia con il 30 /40 % di contagiati. Abbiamo deciso di ritestare tutta la popolazione di Vo’ per la seconda volta e andare a rilevare gli asintomatici che erano in grado di trasmettere il virus. A casa restavano solo le persone che avevano l’infezione conclamata e la sorveglianza sanitaria è riuscita a passare da 3mila a 12mila tamponi e tutti quelli che sono entrati in contatto con il virus sono stati invitati a presentarsi in ospedale».

 

Andrea Crisanti

La domanda successiva non poteva che essere incentrata sulla collaborazione tra Andrea Crisanti e Luca Zaia, all’inizio molto proficua per poi trasformarsi in divergente e anche polemica tra i due. Crisanti ha risposto cosi: «Quello che io posso dire sul presidente Zaia è che è una persona di grande flessibilità e capacità di cambiare idea, pragmatico, pratico nell’agire ma anche lui come tutti i politici, gli spieghi le cose, le fanno proprie e poi pensano di aver fatto tutto loro».

«In Lombardia  i politici non hanno nemmeno ascoltato i pareri degli esperti –   ha ricordato Maria Rita Gismondo –  nonostante l’allerta  fosse  stata diramata già il 9 gennaio al ministero della Salute e noi eravamo pronti come laboratori ad effettuare i test ma ci hanno ordinato di fare i tamponi solo ai sintomatici gravi. La strategia lombarda è stata diversa da quella veneta ed è stato un grave errore ricoverare i positivi nelle Rsa a contatto con gli anziani e questo ha causato il 40% di decessi dentro le strutture. Ogni nostro consiglio che avevamo inviato alla Regione Lombardia è stato inascoltato e ogni ospedale va per conto suo». Non poteva mancare una domanda sulla sperimentazione dei vaccini in corso.

C’è bisogno di correre per averlo o è obbligatorio non saltare le fasi della sperimentazione? Crisanti non ha dubbi in merito: «Bisogna distinguere subito la differenza che consiste nel vaccinare persone in buona salute da chi deve assumere dei farmaci in quanto malato. Sappiamo tutti che un farmaco può avere degli effetti collaterali ma viene prescritto a chi ne ha necessità per curarsi. Per un vaccino il problema è diverso. Gli effetti collaterali sono legati alle differenze di tutti noi, spesso di natura genetica, del sesso, dell’etnia a cui apparteniamo. Sussiste, ad esempio, una differenza tra me e un giapponese. Un vaccino – ha spiegato ancora il professor Crisanti – risulta innocuo se non ha effetti collaterali su chi lo riceve. Per questo va testato nella fase 3 su almeno 100 mila 150 mila persone per dimostrare l’efficacia sull’uomo. Io sono molto scettico nel sentire dichiarazioni di chi ha preso scorciatoie per arrivare al risultato finale.

Facendo così non possiamo capire se ci sono effetti collaterali. Bisogna dimostrare come il vaccino agisca sulle persone che abbiano una minore probabilità di infettarsi. Ci vogliono almeno cinque anni di studio per arrivare alla somministrazione. Solo per l’Ebola è stata fatta un’eccezione. Chi dice che tra pochi mesi il vaccino sarà pronto sta accorciando i tempi, e ogni scorciatoia ha un prezzo. Bisogna essere onesti e dire come stanno le cose altrimenti diamo un’arma formidabile ai no wax. È necessario dire la verità agli italiani!» – ha concluso Crisanti con un appello alla ricerca scientifica e alla politica che ogni giorno dichiara di avere pronti i vaccini.

La stessa Organizzazione mondiale della sanità lo dichiara e ribadisce di seguire la sperimentazione nella massima sicurezza prevista e afferma di non attendere un vaccino per il coronavirus prima della metà del 2021. I controlli devono essere il più rigorosi per valutare l’efficacia.

Anche Guido Rasi direttore esecutivo dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema) intervistato dal Fatto Quotidiano il 4 settembre scorso ha spiegato che allo stato attuale non sono stati recepiti risultati definitivi da parte delle aziende che stanno testando i vaccini: «Aspetto i dati per ora sono solo annunci da parte di aziende e governi, inclusi quello italiano e da parte della Commissione Europea. Per avere la prima dose di vaccino sicuro ed efficace ci sono tre attività separate: negoziazione, sviluppo e approvazione. La negoziazione tra governi e aziende dipende poi dall’approvazione. Ma a noi dell’Ema i termini negoziali interessano poco, perché il processo di valutazione deve assolutamente restare indipendente».

Alla domanda della giornalista del Fatto Quotidiano, Laura Margottini se il vaccino arriverà, Guido Rasi risponde: «Non è scontato, né che si troverà un vaccino efficace e sicuro. Al momento stiamo parlando con 38 sviluppatori, ma i dati, ripeto, ancora non ci sono».

Ascoltando il dibattito trasmesso in live streaming (si può riascoltare sulla pagina facebook del Fatto Quotidiano andrea-crisanti-e-maria-rita-gismondo) uno degli argomenti più dibattuti sui media e nell’opinione pubblica (divisa tra fautori del vaccino e chi non accetta di subirlo con l’obbligatorietà; lo stesso presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha dichiarato che non sarà reso obbligatorio) è la gestione imminente dell’arrivo dell’influenza stagionale e il suo vaccino per evitarla. «Ogni anno si verificano otto milioni di malati di influenza compresi in una fascia d’età che va dai 4 ai 15 anni. La vaccinazione rischia di esercitare un effetto distruttivo sulla gestione del Covid-19. Le Regioni quante dosi di vaccino per l’influenza hanno ordinato? Rischiamo di avere meno risorse anti Covid se non ci sarà una copertura vaccinale sufficiente perché verranno dirottate per far fronte a spese sanitarie per l’influenza. Manca ancora il 40% dei vaccini – hanno ribadito sia Crisanti che Gismondo – e il problema è che per far sì che le forniture arrivino alle Regioni servono dei mesi. Per gli ordinativi fatti nel mese di aprile probabilmente non ci saranno problemi ma quelli richiesti dopo difficilmente arriveranno in tempo utile».

La convinzione dei due esperti è che una copertura alta con il vaccino antinfluenzale garantirebbe di escludere molti casi sospetti di Covid-19. Il giornalista del Fatto Quotidiano fa presente che «a Milano secondo i medici di famiglia gli ordini sono stati fatti sulla base delle esigenze della scorsa stagione»: la risposta di Crisanti è lapidaria: «Un disastro». Una sottovalutazione delle Regioni?: «In primavera la situazione epidemiologica era chiara, si poteva immaginare che avremmo avuto bisogno di molte più dosi». E i test rapidi? Crisanti ribadisce la loro assoluta necessità: «Effettuarli serve a velocizzare il processo diagnostico dove è presente una carica virale molto alta viene rilevata ma se questa è inferiore il test sierologico non lo rileva. Dipende dal momento in cui viene intercettato ma è sempre utili farli se l’alternativa è non fare nulla. Non sostituiscono il tampone però e il test sierologico effettuato sugli insegnanti è una stupidaggine pazzesca. Potrebbe verificarsi il caso di uno negativo ma infetto perché non ha sviluppato ancora gli anticorpi».

I test rapidi vengono effettuati su sangue capillare prelevato da un dito attraverso la puntura di un piccolo ago, ma l’affidabilità è in questo caso è ridotta. Il tampone è un esame che serve a rilevare se il virus è presente sulle mucose respiratorie analizzate e al momento del prelievo. Anche il parere della professoressa Gismondo conferma quanto detto in precedenza da Crisanti: «Gli anticorpi IgM si manifestano dopo 5/6 giorni dal contagio per cui il test sierologico non è attendibile e molti sono quelli che risultano positivi con una carica debole e pochi invece quelli con una carica virale alta. Il sierologico non rileva quelli deboli».

Maria Rita Gismondo

E l’uso delle mascherine ?«A Padova abbiamo l’ospedale più grande d’Italia con 1800 posti letto e tutti i dipendenti usano le mascherine chirurgiche. È accaduto che molti miei colleghi sono andati al lavoro senza sapere di essere infetti ma solo in seguito quando sono stati sottoposti al tampone se ne sono accorti, ebbene nessuno di loro ha contagiato altri operatori sanitari o malati. Le mascherine proteggono e vanno usate». Secondo Crisanti la pandemia da SarsCov2 ha permesso agli italiani di scoprire la Scienza e ad imparare i termini scientifici e alla domanda se ci si può fidare dell’attendibilità del livello scientifico delle pubblicazioni specialistiche la risposta di Maria Rita Gismondo è netta: «Le riviste serie hanno un board di altissimo livello scientifico e garantiscono la veridicità degli studi pubblicati». Così è accaduto per lo studio condotto a Vò Euganeo da Andrea Crisanti che per essere pubblicato ha dovuto passare una rigorosa revisione (lo studio ha dimostrato che “tra il 50 e il 75 % sono casi completamente asintomatici ma formidabile fonte di contagio. Con l’isolamento dei soggetti infettati il numero totale dei malati è sceso da 88 a 7 nel giro di 7-10 giorni. Un dato che conferma l’importanza dell’isolamento e del distanziamento sociale”).

Un altro studio di primaria importanza è anche quello pubblicato su Lancet Respiratory Medicine” condotto su 301 pazienti ricoverati presso il Policlinico di Sant’Orsola di Bologna, il Policlinico di Modena, l’Ospedale Maggiore, il Niguarda e l’Istituto Clinico Humanitas di Milano, l’Ospedale San Gerardo di Monza e il Policlinico Gemelli di Roma, e coordinato da Marco Ranieri direttore del servizio di Anestesia e Terapia Intensiva Polivalente del Policlinico Sant’ Orsola di Bologna in collaborazione con Franco Locatelli dell’Ospedale Bambino Gesù, Presidente del Consiglio Superiore di Sanità e membro del Comitato tecnico scientifico. La ricerca ha descritto il meccanismo responsabile della elevata mortalità in Terapia Intensiva dei pazienti affetti da Covid-19, dimostrando come il virus danneggi gli alveoli (le unità del polmone che assumono ossigeno e cedono anidride carbonica) e i capillari dei polmoni (i vasi sanguigi dove avviene lo scambio tra anidride carbonica e ossigeno).

Lo studio ha evidenziato come il virus danneggiando sia gli alveoli che i capillari polmonari causa la morte del 60& dei pazienti mentre se colpisce solo gli alveoli o i capillari la mortalità è del 20%. Anche lo studio del professor Giuseppe Remuzzi dell’Istituto Mario Negri di Milano è fonte di attenzione da parte della comunità scientifica per aver analizzato e cercato di spiegare la condizione di asintomatico. La sua ricerca evidenzia l’ipotesi che una parte consistente di popolazione sia entrata già nel passato con un virus che assomigliava al SarsCov2 (prima della sua identificazione) e questo abbia reso immuni le persone. Se confermato il suo studio quello che avviene nei soggetti infettati dal virus è la prova che la la malattia da Covid-19 non si sviluppi.

Maria Rita Gismondo cita il lavoro scientifico di Remuzzi spiegando che dei ricercatori di san Diego in California sono arrivati allo stesso suo risultato: «Hanno testato campioni di sangue di donatori – scrive sul Fatto Quotidiano – , conservati anni prima della circolazione di SarsCov2. Dal 40 al 60 per cento dei campioni hanno mostrato di contenere cellule T (linfociti T) capaci di riconoscere il virus…»


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