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Ebru Timtik, ennesima martire della giustizia in Turchia

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Oggi la sepoltura di Ebru Timtik avvocata turca, morta giovedì sera ad Istanbul.
La sua bara passa per la strada coperta da una bandiera rossa,  la sua toga e tanti garofani.
Ebru aveva iniziato lo sciopero della fame a gennaio, per protestare contro la malagiustizia turca e per chiedere un giusto processo per sé e per 17 suoi colleghi accusati di legami con il Fronte rivoluzionario della liberazione popolare (DHKP/C), dichiarato gruppo eversivo terroristico dal governo di Ankara.
Timtik aveva 42 anni, si occupava di difesa dei diritti umani e per questo nel 2019 era stata condannata a 13 anni e sei mesi di carcere.
In attesa che il suo processo venisse ridiscusso in appello, aveva iniziato lo sciopero della fame per richiamare l’attenzione contro le attuali procedure giudiziarie che molti avvocati turchi definiscono illegali.
Il governo del presidente Erdoğan da tempo è accusato di aver contaminato il sistema giudiziario, corrompendo o comunque manipolando la magistratura.
Tante le gravità procedurali eccepite nel processo contro Timtik e i suoi colleghi, tra le quali il trasferimento d’ufficio dei giudici che all’inizio avevano revocato la misura cautelare a carico degli avvocati e si erano espressi per la loro innocenza.
Il 14 agosto la Corte di Cassazione turca aveva rigettato il ricorso presentato a giugno dal collegio difensivo internazionale contro la sentenza emessa sulla base della sola testimonianza di un anonimo accusatore, un detenuto mai identificato che durante il processo era spesso entrato in contraddizione e spesso si era mostrato omertoso e fallace nei ricordi
A maggio altri tre musicisti componenti  del gruppo Grup Yorum, anche loro accusati di essere in collegamento con il DHKP/C, sono morti di inedia volontaria.
In passato erano stati arrestati, tutti i loro dischi sequestrati e dal 2016 non potevano più suonare in pubblico.
“Il sistema giudiziario turco non ha niente di indipendente, è stato un processo pilotato ” dichiara  alla stampa l’avvocato Fausto Gianelli, legale del collegio difensivo internazionale.
” Il vertice del Consiglio giudiziario, che dipende dal ministero della giustizia, ha scelto i giudici del procedimento, sostituendo quelli che avevano inizialmente prosciolto gli avvocati per inconsistenza delle prove.
Avevano emesso un ordine di scarcerazione ma la notte successiva il collegio è stato cambiato e il giorno dopo, sabato, i nuovi giudici hanno revocato l’ordine di rilascio su richiesta della procura.
Mai visto prima.
Dal tentato golpe del 2015, il Consiglio giudiziario non è più indipendente ma risponde direttamente al ministero.
Per questo pensiamo che sia un omicidio di stato e accusiamo direttamente il governo ed Erdogan di tutto l’iter processuale.
Ci si accanisce sugli avvocati perché così si colpiscono due persone, il legale e l’assistito, e si intimoriscono i colleghi.
Questi processi sono atti di terrorismo giudiziario: si limita il diritto alla difesa degli oppositori se i legali hanno paura di difenderli.
Non è una nostra deduzione, è nelle motivazioni della sentenza di condanna: come se ci fosse concorso di reato, la corte cita le attività difensive di un numero “abnorme” di imputati di terrorismo e la frequenza “sopra la media” delle visite agli imputati, arrivando a considerare l’avvocato non neutro ma “organico” al reato.
In definitiva, si colpiscono gli avvocati per limitare il diritto alla difesa degli oppositori: i legali hanno paura di difenderli se poi vengono accusati degli stessi reati”.
 Il cuore dell’avvocata turca che per anni si è battuta per operai e minatori, contadini e vittime di violenza, per i manifestanti di Gezi Park e per gli abitanti arbitrariamente espropriati per l’edificazione urbana, per le vittime di tortura nelle carceri e nelle stazioni di polizia, per gli imputati per reati di opinione ed i militanti politici, si è fermato alle 21.04 di due giorni fa.
Pesava 30 chili e non riusciva nemmeno più a bere.
È stata sepolta accanto alla madre.
La polizia anti-sommossa, si apprende da fonti locali, ha circondato il cimitero con mezzi blindati e cannoni ad acqua, ha vietato una marcia  spontanea di protesta ed ha sequestrato il corpo fino al cimitero, vietando alla famiglia di portarla sulle spalle.
Non c’era la sorella Barkin, anche lei avvocata detenuta nel super carcere di Silivri: la procura non le ha concesso il permesso per i funerali, motivando con l’epidemia di Covid-19.
Continua l’avvocato Giannelli:
“La lotta continuerà con chi è rimasto e a nome di Ebru, ci stiamo coordinando.
Potremmo rivolgerci alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
I colleghi turchi sono spaventati, la coordinatrice del collegio difensivo Ceren Uysal è scappata all’estero perché teme l’arresto, coordina l’attività da fuori”.
Il collega Aytac Unsal versa in condizioni critiche, ma dichiara di voler continuare la protesta.
È ricoverato in un ospedale penitenziario, alla finestra del quale Ebru Timtik si è affacciata sorridendo, come se sapesse che stava salutando l’ultima volta.
Nel silenzio della comunità internazionale.


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