Tralasciamo l’incresciosa vicenda dei parlamentari furbetti che, pur percependo un reddito mensile di circa dodicimila euro netti, hanno pensato bene di far richiesta di un sussidio immaginato, giustamente, per lenire le devastanti conseguenze economiche del Coronavirus a carico di autonomi e partite IVA, dunque a favore di chi ne ha disperatamente bisogno essendogli venuti a mancare i soldi per vivere. Tralasciamo anche il populismo bieco che ne è derivato, fra dichiarazioni roboanti, richieste di costituirsi e una caccia alle streghe che sa tanto di maccartismo all’amatriciana, per giunta interpretato da soggetti cui manca la cultura storica e la cognizione della realtà necessarie per comprendere quale sia l’effettiva gravità del gesto in sé.
Veniamo, invece, alle ragioni oscurate di una deocrazia sempre più ridotta in ginocchio. Il prossimo 20 e 21 settembre saremo chiamati a pronunciarci sulla scelta, a parer mio nefasta, del Parlamento di infliggersi l’autodafè del taglio dei parlamentari. In poche parole: un’istituzione danneggiata da troppi anni di malapolitica e parlamentari nominati anziché eletti, non ha trovato di meglio che aggredire, ancora una volta, la Costituzione nel tentativo di sciogliere i nodi che continuamente vengono al pettine a causa delle ignobili riforme elettorali che si succedono dal 2005 in poi e della devastazione dei partiti che ha fatto seguito alla stagione di Tangentopoli.
E poi c’è l’informazione, assente ingiustificata. Abbiamo celebrato ieri i cento anni dalla nascita di Enzo Biagi e, per fortuna, la RAI si è dimostrata, per una volta, servizio pubblico a tutti gli effetti, mandando in onda speciali e trasmissioni di alto livello che hanno reso omaggio al grande giornalista e al suo metodo di lavoro. Peccato che, passata la festa, sia stato novamente gabbato lo santo. Ora, è ovvio che faccia fatica a farsi strada fra i pensieri degli italiani una consultazione poco sentita e posta scientemente in una data che rende pressoché impossibile fare campagna elettorale, specie per chi sostiene le ragioni del NO; l’oscuramento televisivo in atto, tuttavia, non è accettabile.
Una democrazia, per esser tale, ha bisogno che i cittadini conoscano e siano in grado di deliberare, ha bisogno del famoso dovere di informare e del diritto a essere informati. In questo caso, stanno venendo meno sia l’uno che l’altro, cioè l’equilibrio basilare del nostro vivere civile.
Si andrà a votare, con ogni probabilità, senza mezzo dibattito televisivo o, al massimo, con qualche tribuna noiosa posta in palinsesto quando nessuno ha tempo e voglia di guardarla. Si andrà, insomma, a decidere su una sostanziale modifica costituzionale senza un’adeguata informazione, senza sapere di cosa si tratta e quali potrebbero essere le conseguenze di un taglio che risponde alla sola logica della punizione nei confronti della vituperata “Casta”, senza una riflessione strutturale sul ruolo del Parlamento nel contesto di una Repubblica che, lo ricordiamo en passant al ministro Di Maio, è ancora parlamentare.
Un Parlamento fragile, dimidiato, composto da nominati che rispondono unicamente ai desiderata di chi li ha messi in lista, con troppi volti senza storia e troppi soggetti ben coscienti di aver vinto la lotteria e di dover fare di tutto affinché duri la cuccagna, compreso il salto da una posizione a quella opposta senza rendere conto a nessuno, un Parlamento siffatto si è screditato da solo. Il taglio che vogliono infliggergli gli alfieri del nuovo e di un sedicente “popolo”, come se chi non si riconosce in queste idee pericolose avesse perso il diritto di cittadinanza, sarebbe solo l’ultimo attacco a una costruzione già fiaccata da quattro decenni di grandi riforme annunciate e poi, fortunatamente, abortite o sconfitte ma comunque in grado di instillare nell’opinione pubblica un odio per la politica e per i beni comuni le cui ricadute sono sotto gli occhi di tutti.
Auspichiamo, pertanto, pur coscienti che sia agosto e che sia il momento peggiore dell’anno per occuparsi di determinati temi, che la RAI assolva pienamente al proprio ruolo di servizio pubblico, dando spazio alle ragioni degli uni e degli altri e mandando alle urne dei cittadini informati e capaci di decidere e non dei vassalli chiamati unicamente a ratificare ciò che è stato deciso dai capibastone in un momento di isteria collettiva. Anche perché, e qui ci rivolgiamo al Partito Democratico, un’eventuale vittoria del SÌ, accelererebbe la conclusione di questa legislatura, in quanto sarebbero meno le ragioni per cui il governo giallorosa è nato e vorrebbe provare a vivere.
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