In memoria di Franca Valeri, scomparsa stamani a Roma, riproponiamo il commento di Angelo Pizzuto al suo ultimo spettacolo andato in scena dal 2013 al 2015. Visto per noi al Teatro Eliseo di Roma
“NON TUTTO E’ RISOLTO”- …E FRANCA CI AMMONI’
Di Angelo Pizzuto
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La concretezza, l’eccesso di realismo generano mestizia (fa notare, non a torto Roberta De Monticelli, filosofa). E Franca Valeri ne è l’antidoto, con quel suo sublime metodo di fustigazione del reale basato sull’elusività derisoria,sul signorile sarcasmo, sul glissare l’immedesimazione ‘umanitaria’ (con pubblico e personaggi), sicura che non è compito del teatro (dell’attore) ‘consolare’ gli ‘inconsolabili’. E quindi: sogna o è ben desta (o fa entrambe le cose?) l’anziana Contessa, perfida e snob, che rivisita, come teatro della memoria, l’enorme salone di quella che si immagina essere stata la sua avita magione? Non lo sapremo mai, ed è bene che sia così, se a celare il segreto (se a prenderci raffinatamente per i fondelli) è una Signora della scena come Franca Valeri, ultima teatrante (vegeta e novantenne) di una ‘dinastia’ (del secolo scorso) che serba e distilla testimonianze di un passato inesplorato e inesplorabile: specie dalla generazione dei ‘nativi digitali’ che annovera solo ciò che è elettronicamente riscontrabile tramite link di tastiera. Figurarsi la poliedrica, segmentata biografia della ‘giovane Franca’, ondivaga tra Milano, Parigi, Roma; musa fautrice (con Vittorio Caprioli , Alberto Bonucci e Luciano Salce) del primo teatro intellettuale e ‘da camera’ (I Gobbi e Carnets de notes), importato in Italia dopo le autarchie del fascismo; eclettica divulgatrice di Testori (“Caterina di Dio”) e del teatro dell’assurdo (Jonesco, Beckett) prima che il medesimo diventasse pane e companatico della nostra quotidianità.
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Nello spoglio salone della casa abbandonata, l’anziana Contessa incontra un uomo mite ed in stato di abbandono che dichiara essere suo figlio, agitando squarci di verità che potrebbero esser tali o solo un modo spicciolo per mettere a disagio quella donna ‘svaporata ed egoista’ che abbandonò ‘capra e cavoli’ alla volta di non chissà quali dimore e alterità. Gli fa eco una segretaria- tuttofare che, se non erro, è una sorta di alter ego raziocinante, propellente e immanente della vegliarda protagonista, sempre vegeta a innescare con lei sterili dibattiti di economia domestica, di inventariato-mobili (mancanti), di identità psicologiche rese labili non tanto dalla persistenza degli anni quanto dalla mancanza di denaro (dissipato o mai avuto?).
Trattandosi di nudo e crudo ‘dramma di conversazione’, incastonato nell’unità di luogo e di tempo voluta dal teatro da camera, “Non tutto è risolto” si dilata nel piacere della rimembranza e dell’equivoco (tutto ciò che vediamo sarà forse, come shakespaeriano prodigio, fantasma e illusione ottica che la Contessa trasmette ai convenuti?), rasentando il (nostro) declino di concentrazione nelle sue quasi due ore di rappresentazione. Ma basta un guizzo, un ‘richiamo all’ordine’ della poderosa Valeri per far sì che si torni in carreggiata e si riafferri il piacere del battibecco, del duello all’arma bianca che sono cellule fecondate dello spettacolo- al suo secondo anno di repliche.
Allestimento che (grazie alla regia di Marini) dà il suo meglio proprio nel gusto della reticenza, della divagazione, dell’allusione pluri significante (o nulla significante) che avviluppa tutto e tutti, quali ‘nobili relitti’ di un ancien regime non più proponibile né percorribile: se non come puro piacere della provocazione o senile, consapevole (sveviana?) dismissione da responsabilità che arrecherebbero ai posteri soltanto orrore. “La vita non è così interessante per ricordarla”- afferma la Contessa. Quindi meglio fuggire, con le arti del cinismo e della dimenticanza, da ogni (eventuale) redde rationem o senso di colpa. Specie se nel prisma di disvelamento e menzogna, di caustica ironia e sostanziale ‘non sense’ del trovarci insieme, l’unica a sopravvivere è l’enorme stufa ottocentesca che raffredda convivenza e crepitio della sbalestrata combriccola. Microcosmo di un organismo, di un tessuto sociale vanificati da dissesto e malinteso. Dalle dinastie di famiglia a quelle di potere.