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Sergio Zavoli, poeta della realtà

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Sergio Zavoli è stata la pietra angolare del servizio pubblico: la norma, la regola di condotta del giornalista e del dirigente della Rai. Il giornalista di una Tv commerciale ha un solo compito: massimizzare gli ascolti del suo programma perché l’emittente possa vendere alle agenzie di pubblicità quello spazio di palinsesto a un prezzo più alto. Il giornalista del servizio pubblico deve, ovviamente, avere l’ambizione (ma non l’ossessione) di raggiungere un gran numero di telespettatori, ma a lui spetta un compito supplementare: favorire la loro crescita civile, la capacità critica, perché possano formarsi un’opinione fondata sulla ragione e non sulla suggestione. Questa è l’etica della comunicazione di cui Sergio si è fatto interprete e militante. Basti pensare all’entusiasmo con cui accolse l’invito di presiedere la giuria dei concorsi di educazione ai media che Articolo 21 e il Miur promuovono dal 2014 nelle scuole di ogni ordine e grado insieme all’Associazione Costituzionalisti, alla Fnsi e alla Rai. Alla sua memoria dedichiamo il concorso sul diritto allo studio (Art. 34 della Costituzione) che prenderà il via alla ripresa dell’anno scolastico (https://www.rileggiamolarticolo34.it/)

È difficile assegnare un “genere” ai programmi di Zavoli. Termini come: inchiesta, documentario o reportage sono riduttivi e inadeguati per designare un’opera in cui l’impegno civile incontra la poesia, la compassione convive con la severa ricerca della verità fino a mettere a repentaglio la propria vita andando a Chernobyl subito dopo l’esplosione sopportando conseguenze che lo hanno segnato per tutta la vita, fino all’anemia, che non gli dava tregua, di questi ultimi anni.

La verità è che Sergio era un poeta della realtà, come i suoi amici più cari: Federico Fellini, Tonino Guerra e Alberto Sughi, tant’è che la sua opera si presenta come un gigantesco mosaico, composto da centinaia di tessere, che raffigura l’Italia della seconda metà del Novecento nella cornice di un servizio pubblico radiotelevisivo che ha avuto grandi meriti come quello di consolidare il senso di appartenenza a una comunità nazionale che parla la stessa lingua e si riconosce nei valori della Costituzione. Questo mosaico si colloca spontaneamente accanto ai capolavori del neorealismo italiano di Rossellini e De Sica, ma anche ai dipinti di Pellizza da Volpedo e ai racconti di De Amicis.

Questo per dire che è giunta l’ora di contrastare apertamente il pregiudizio secondo cui i prodotti della televisione, in quanto rivolti alla “massa”, non possano essere annoverati tra le opere d’arte e preservati come tali, piuttosto che disperdersi in quelle fosse comuni che sono gli archivi televisivi. Al cinema bastarono vent’anni perché si rivelasse come l’arte più importante del XX secolo; alla televisione di qualità non ne sono bastati settanta!

Sergio Zavoli ha ancora molte cose da dirci e su cui riflettere.


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