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Libano, un’inchiesta indipendente e internazionale unica possibilità per verità e giustizia

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L’esplosione di martedì scorso a Beirut ha creato un cratere di circa 124 metri, un’area più grande di un campo di calcio. Basta questo dato per comprendere quanto devastante sia stata la deflagrazione che ha causato, al momento, 137 morti e oltre 5.000 feriti. Decine e decine i dispersi.
E mentre il bilancio delle vittime continua a salire, la dinamica di come sia avvenuto il disastro appare ancora poco chiara. È evidente che, oltre ad accertare se si sia trattato di un evento accidentale o provocato, vadano individuati al più presto i responsabili di quanto avvenuto.
L’unica possibilità per arrivare alla verità, e sperare sia garantita giustizia, è l’avvio di una inchiesta indipendente, di profilo internazionale.
Come chiede Human Rights Watch che ha rivolto alle autorità libanesi l’invito a coinvolgere esperti di altri paesi nell’indagine sulla doppia esplosione al porto.
L’omg evidenzia come il ripetuto fallimento delle autorità libanesi nell’investigare gravi carenze del governo abbia creato sfiducia nei confronti delle istituzioni governative da parte dell’opinione pubblica.
Un’indagine indipendente con esperti internazionali che determini le cause e le responsabilità di quanto avvenuto e, nel caso fosse accertato si sia trattato di un
incidente. raccomandi misure per scongiurare che episodi simili possano ripetersi, rappresenta l’unica garanzia che le vittime dell’esplosione possano ottenere la giustizia che meritano.
Intanto il governo libanese, che non appare all’altezza della gravità del momento, non è ancora riuscito ad avviare un’azione in grado di aiutare tutte le persone rimaste senza casa. Non tutti sono destinati ad avere accesso ad alloggi, cibo, acqua e assistenza sanitaria adeguati. Gli aiuti non sembra siano stati finora distribuiti in modo equo e imparziale.
La strage secondo le autorità è stata causata da un incendio in un magazzino nel porto dove erano conservate in modo non sicuro 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio. I libanesi hanno espresso la loro rabbia nei confronti del governo, accusato di corruzione, negligenza e cattiva amministrazione, addossandogli le responsabilità della tragedia.
Ieri l’esecutivo ha annunciato che alcuni funzionari dell’autorità portuale di Beirut sono stati messi agli arresti domiciliari in attesa di un’inchiesta sulle esplosioni. Il Consiglio supremo di Difesa ha insistito sul fatto che i responsabili saranno sottoposti alla “massima punizione”. Secondo quanto riferito Sto arrivando! Un portavoce del governo, il nitrato di ammonio – che viene usato come fertilizzante in agricoltura ma anche per la fabbricazione di esplosivi – era rimasto nello scalo marittimo per sei anni dopo essere stato scaricato da una nave sequestrata nel 2014.
Il responsabile del porto e il capo dell’autorità doganale hanno precisato ai media locali di avere scritto diverse volte alla magistratura, chiedendo che questa sostanza chimica fosse esportata o venduta per garantire la sicurezza del porto.
Intanto i soccorritori stanno ancora scavando tra le macerie alla ricerca di vittime o sopravvissuti, mentre la Marina sta perlustrando le acque al largo della costa in cerca dei dispersi. Il ministro della sanità pubblica Hamad Hassan ha confermato che il settore sanitario è al collasso, privo di posti letto e delle attrezzature necessarie per curare i feriti e assistere i pazienti in condizioni critiche. La strage, infatti, si è aggiunta all’emergenza di coronavirus.
Da ogni parte del mondo stanno arrivando aiuti e soccorsi, l’Italia ha inviato due C-130 per il trasporto di specialisti dei vigili del fuoco, medicinali e materiale sanitario.
Il presidente francese Emmanuel Macron al suo arrivo all’aeroporto di Beirut, dove si è recato per incontrare le autorità libanesi e portare la solidarietà del popolo francese, ha annunciato di voler promuovere attraverso la cooperazione europea e internazionale una grande azione di sostegno alla ricostruzione ma ha anche sollecitato riforme e un cambiamento radicale nelle istituzioni.
Anche il Regno Unito si è già mosso per dare il proprio contributo inviando una nave della Marina a Beirut per aiutare la città a riprendersi di martedì scorso. Il ministro della Difesa britannico, Ben Wallace, ha affermato che la nave Hms Enterprise, attualmente di stanza a Cipro, valuterà i danni e aiuterà le autorità libanesi a prepararsi per ricostruire il porto.
Il governo del Regno Unito ha inoltre promesso un pacchetto di aiuti umanitari da 5,5 milioni di euro.
Si è mossa tempestivamente pure la Commissione Ue che ha mobilitato 33 milioni di euro per il Libano, fondi destinati a coprire le spese emergenziali, sostegno medico e attrezzature e protezione delle infrastrutture critiche. Lo ha annunciato la stessa presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, al premier libanese Hassan Diab durante la conversazione telefonica avuta questa mattina. Von der Leyen ha ribadito l’offerta di squadre aggiuntive per i rilevamenti chimici, biologici, radiologici e nucleari, una nave militare con elicottero con capacità di evacuazione dei feriti, e attrezzature mediche e protettive. Inoltre, Bruxelles valuterà sostegno ulteriore in base alla valutazione dei bisogni umanitari ed è pronta ad impegnarsi nella ricostruzione e a valutare forme di aiuto al commercio, con facilitazioni doganali, per aiutare il Paese a riprendere l’export in questo momento difficile.
Insomma, la comunità internazionale c’è.
Ma sta al Libano stesso rialzarsi, rimuovendo le macerie e ricostruendo la città che più lo rappresenta. Quelle macerie specchio degli errori dei governo che si sono succeduti negli anni, come denuncia lo scrittore franco-libanese Amin Maalouf affermando che “esplosioni come quella dell’altro ieri sono l’angosciante spettacolo della nostra civiltà che crolla sotto il peso dei suoi errori”.
Non sarà facile ricominciare. Sul Paese grava una profonda crisi economica, combatte con la piaga della corruzione e una classe politica inefficiente.
Un processo di disfacimento che ha origini lontane e di cui sono responsabili in tanti, non certo una fazione o l’altra.
“Non è il mondo nel quale avevo sperato, non è la società che la mia generazione aveva immaginato. Eravamo convinti che con un po’ di saggezza, razionalità e umanità saremmo riusciti a vivere in pace gli uni con gli altri, a dispetto di ogni differenza. Non è andata così, e questo mi rattrista molto. Eppure sono sicuro che da qualche parte Beirut e il troveranno la forza per rialzarsi. I giovani non hanno scelta. I giovani lo fanno sempre”, sottolinea Maalouf.
Le sue parole di speranza, dopo l’amarezza, sono il miglior augurio per il popolo libanese, l’auspicio che il ‘paese dei cedri’ possa dai suoi errori imparare e ripartire. Autorizzare un’inchiesta indipendente internazionale sarebbe il primo importante passo.


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