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Beirut, l’orribile ferita e gli enigmi, il dolore e la mancata empatia per scarsa prossimità

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Beirut orribilmente ferita. Due esplosioni, oltre 100 morti e 4.500 feriti di cui centinaia in condizioni disperate.
Dalle prime testimonianze l’esplosione più grave, quella al porto, è stata causata da 2700 tonnellate di nitrato di ammonio confiscato da una nave sei anni fa e collocato in un magazzino dello scalo marittimo.
A innescare la deflagrazione una precedente esplosione, la cui origine è tutt’ora da accertare. Due le ipotesi, un incidente su una nave che trasportava fuochi di artificio oppure il cortocircuito o dei lavori nel capannone che conteneva il materiale esplosivo che avrebbero sprigionato scintille.
Ma è ancora presto per avere un quadro chiaro e definitivo. Unica certezza il dolore per le vittime e per questo luogo bellissimo e martoriato.
Tutta l’area intorno al porto, mezza città, è devastata. Case sventrate, migliaia distrutte, con altrettanti senzatetto. Le autorità libanesi hanno invitato chi era in grado di farlo a lasciare la capitale del Libano a causa dell’aria tossica sprigionata dal nitrato.
“Stiamo assistendo ad un’enorme catastrofe”, ha dichiarato il capo della Croce Rossa libanese George Kettani ai media locali.
Coinvolta nell’esplosione anche una nave italiana della task force marittima dell’Unifil, la missione Onu dispiegata nel Paese, attraccata nel porto. Un nostro militare, il caporal maggiore Roberto Caldarulo, del battaglione Gestione Transiti (RSOM) di Bari, è rimasto ferito ma sta bene.
Il boato della seconda deflagrazione è stato sentito fino a Nicosia, sull’isola di Cipro, che è a oltre 240 chilometri. Un effetto apocalittico pari a quello di un terremoto di magnitudo 4,5.
Beirut dalle 12 di ieri è piombata nel terrore e nel caos. Un incubo di disperazione e sangue, una devastazione inimmaginabile che si è abbattuta su persone e strutture danneggiate seriamente nel raggio di chilometri tra cui il palazzo presidenziale e diverse ambasciate.
Il Consiglio Supremo di Difesa sotto la guida del presidente Michel Aoun ha decretato lo stato di emergenza di due settimane, di affidare ai militari la responsabilità della sicurezza, di dichiarare Beirut “città colpita dal disastro” e il lutto nazionale per tre giorni.
Aoun non ha esitato a definire “inaccettabile” il fatto che 2.700 tonnellate di nitrato di ammonio siano rimaste immagazzinate per sei anni nel porto di Beirut senza misure di sicurezza e ha assicurato che tutti i responsabili di “questa catastrofe”, saranno “chiamati a risponderne”.
Non va sottovalutato, inoltre, un elemento.
La doppia esplosione che ha scosso la capitale del Libano è avvenuta a soli tre giorni dal verdetto del tribunale speciale incaricato dall’Onu di condurre le indagini sull’attentato che 15 anni fa costó la vita all’ex premier Raftik Hariri, fatto saltare in aria sul lungomare di Beirut, e altre 21 persone.
Intanto, mentre c’è chi avanza l’ipotesi che si sia trattato di un attacco intenzionale e non di un incidente seppur finora non ci sono elementi per affermarlo, è scattata la solidarietà internazionale da parte di organismi istituzionali e singoli paesi.
Lascia l’amaro in bocca la mancata empatia che solitamente si registra sui social. Nessun hashtag per la Beirut ferita, nessun #PrayFor… o #IoStoCon….
Si sa, per il popolo del web, è una questione di prossimità e di affinità culturali prima ancora che elettive. E il Libano non è abbastanza vicino. Quel Libano che, già in difficoltà, ha accolto centinaia di migliaia di siriani. Quel Libano che sta affrontando una tremenda crisi economica a cui si è aggiunta l’emergenza del Covid-19. Quel Libano che rischia ora problemi di approvvigionamento alimentare.
Beirut non è New York o Parigi. Troppo lontana da noi. Poco raccontato il Libano dai media mainstream italiani e di scarso interesse strategico ed economico per le nostre istituzioni nonostante nel Paese ci sia una nostra presenza a sostegno della missione Unifil che ha il mandato di monitorare la cessazione delle ostilità, di assistere le attività delle Forze armate libanesi, di garantire il rispetto della Blue Line e di supportare la popolazione locale. I mIlitari italiani, inoltre, sono impegnati nella sicurezza con check point e pattugliamento.
Ed è a loro, che ho  avuto la fortuna di incontrare e vedere operare sul campo, e a tutta la popolazione di Beirut che esprimo – e con me tutta Articolo 21, totale e sentita solidarietà e vicinanza.
Noi non dimentichiamo, #BeirutNelCuore.


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