“… il morbo infuria(!)/ il pan ci manca / sul ponte sventola / bandiera bianca”. Franco Battiato ha tramandato, alle generazioni a cavallo dei millenni, il brano poetico del poeta Fusinato, che narra la fine della rivoluzione del 1848/49 nella città di Venezia, estremo caposaldo di libertà, che accolse gli ultimi rivoluzionari prima della totale disfatta. Oggi, che “il morbo infuria”, Venezia potrebbe diventare un avamposto di una rivoluzione culturale contro la schiacciante omologazione che, anche grazie al Covid, sta distruggendo i presidi culturali europei, con una crisi che non ha avuto pari neanche durante le guerre, perché il teatro ed il cinema non si fermarono neanche sotto le bombe.
La coraggiosa scelta di Biennale e Mibac viene però, inevitabilmente, limitata dalla fase di stallo dell’epidemia, comportando un oggettivo snaturamento del Festival che, anche etimologicamente, deve essere una Festa. Tralasciando i paragoni con aerei, calcio e movida, bisognerebbe operare di fantasia (dovrebbe essere patrimonio degli artisti) e far diventare il Festival, e la Città di Venezia, una ribalta internazionale, un luogo di gioia per la Cultura, richiamando, oltre agli addetti ai lavori, anche un grande pubblico di appassionati. Per far questo non mancano le idee: proiezioni nelle piazze, nei campielli, nelle chiese; interviste in Piazza San Marco; spazio agli artisti che potrebbero anche diventare “artisti di strada” in aree decentrate.
A Venezia la Cultura deve ammainare la bandiera bianca della sconfitta ed issare, magari, quella arcobaleno della pace, che è la migliore divulgatrice della Cultura.