Il primo taccuino è già pieno di appunti, di pensieri, di scarabocchi, di liste di cose da fare.
C’è una parola che ricorre, che ci guida e ci confonde, che è il nostro faro e allo stesso tempo il buio più nero: complessità. Restituire la complessità del tema della nostra inchiesta è la nostra aspirazione. È la nostra più grande preoccupazione. Che poi in fondo, a pensarci bene, quella che vorremmo restituire è la complessità del nostro mondo, anzi, di diversi mondi apparentemente distanti ma quanto mai vicini, che interagiscono, si incontrano e si scontrano. E il nostro tema, non è che un pretesto, un argomento come tanti dietro cui si celano riflessioni di cui potremmo discutere per notti intere, sul balconcino di casa di Martina, osservando la Superga illuminata accompagnate dallo scorrere continuo della Dora in sottofondo.
E allora, tra le nostre intenzioni c’è quella di lasciar parlare le storie e forse, il risultato migliore che potremmo ottenere non sarà quello di rispondere a delle domande, ma al contrario, di creare dei dubbi: quale mondo vogliamo costruire? Quanta strada bisogna ancora fare? Esiste un giusto e uno sbagliato? Quanti colori e quante sfumature ha la verità? Di certo non si tratta solo del bianco e del nero.
Per il momento, inforchiamo le nostre bici e raccogliamo più materiale possibile, con l’aiuto e il sostegno di Marta Lombardelli, la nostra videomaker e tra difficoltà e imprevisti, quegli imprevisti che si presentano sempre quando si affronta un lavoro corposo, che ha bisogno dei suoi tempi per prendere forma e assumere senso. Quelli nuovi, a cui forse però ci stiamo già abituando, entrati inevitabilmente nella nostra quotidianità: compilare un’autocertificazione prima di entrare in uno spazio chiuso, misurare più volte al giorno la temperatura, igienizzare le mani… con una mascherina sempre nello zaino e un tocco di gomito al posto di una stretta di mano.
Certo, quella che oggi è la nostra “diversa normalità” ha sconvolto i nostri piani. Ha fatto irruzione nelle nostre vite pochi giorni dopo aver gioito per essere state selezionate come finaliste del premio Morrione, e ci ha costrette a un’ulteriore sforzo di creatività e flessibilità. La realtà intorno a noi è cambiata rapidamente e quelle distanze che fino ad ora, a noi, viaggiatrici incallite, osservatrici del mondo, erano sembrate tutto sommato facilmente percorribili con un biglietto aereo e un buon passaporto, sono diventate impraticabili. Per la nostra sicurezza sono state alzate barriere altissime e le frontiere sono state chiuse, questa volta per tutti. Ecco allora cosa si prova ad essere privati di quelle libertà che sembravano tanto scontate per noi, ma che non lo sono affatto, e i protagonisti della nostra inchiesta lo sapevano già bene, in tempi non sospetti. L’incontro con l’altro è diventato ancora più difficile, da opportunità di arricchimento a fonte di preoccupazione. Non potremo forse viaggiare in alcuni posti, come avevamo previsto, come avevamo sognato. Non potremo vedere con i nostri occhi e ascoltare con le nostre orecchie. Ancora una volta, è la tecnologia che ci viene incontro come unica soluzione. Consapevoli di quanto l’incontro dal vivo sia prezioso per il nostro lavoro, ci siamo dovute adeguare pure noi alle videoconferenze.
Pazienza, determinazione, tempo sono altre tre parole che non sono scritte ma si leggono comunque nel nostro taccuino di pelle nera che abbiamo riempito fino all’ultima pagina. Sono parole invisibili ma ben scolpite anche nelle nostre menti. Insieme a un nuovo taccuino si apre anche una nuova fase, quella del fare ordine e del dare una direzione; intanto esplode l’estate e ci porta improvvisi acquazzoni.