Queste righe sono per te, Israel. Scusa se ti scrivo qui ma le tue tracce si perdono quando sei stato arrestato dai carabinieri di Piacenza, stazione «Levante», il 27 marzo 2020.
Hai 24 anni, sei nato in Nigeria e chissà come ti sei trovato a «dover campare» nella mia città, Piacenza, il 27 marzo, in pieno lockdown, nel mezzo del cratere dell’epidemia di questo incredibile 2020.
Vorrei non ti sentissi solo nella paura che stai provando oggi, e che tu sappia che non sei più solo, ora conosciamo la tua storia.
Ti chiedo scusa.
Mi auguro che tu non sia più in carcere.
Ti chiedo scusa come cittadino, come italiano, come piacentino e come giornalista.
Ti chiedo scusa perché ti sei trovato di fronte a uomini dello Stato, in divisa, corrotti, che hanno gettato nel fango istituzioni democratiche costate la vita a migliaia di donne e uomini. Siamo un popolo che ha combattuto per la libertà, per un ideale di giustizia e per liberarsi dai nazifascisti e da metodi da picchiatori che invece tu, Israel, hai ritrovato qui, nella mia città, il 27 marzo 2020 in via Cristoforo Colombo.
Ti chiedo scusa come giornalista perché il ruolo sociale che è affidato al mio lavoro, incardinato nella Costituzione Italiana, ha fallito.
Forse – penso – forse avrei potuto fare qualcosa, qualsiasi cosa, per non farti trovare nelle condizioni di essere da solo, scalzo, ammanettato, su un marciapiede di via Colombo con la violenza dello Stato corrotto sulla pelle.
Non riesco a togliere gli occhi da una foto in cui c’è il tuo sangue, su quel marciapiede.
Il tuo sangue è il mio sangue, Israel. E’ il sangue di tutte le persone per bene. Di quelle che hanno avuto la fortuna di nascere nella parte ‘’fortunata’’ del mondo o, per puro caso, nella parte povera.
Tu e io, Israel, condividevamo in quei giorni il vissuto terribile nel cratere in cui covid ha colpito come non immaginavamo. E chissà che non condividessimo già allora la rabbia per la prevaricazione, la corruzione e la disonestà dei benpensanti che hai provato quel giorno, che io rivivo oggi. Delle divise in perfetto ordine che nascondono violenza e voglia di abusare del ruolo che noi gli abbiamo affidato.
Quando dico ‘’noi’’, caro Israel, dico una comunità di persone che si sono date orizzonti ideali di libertà e giustizia, e che per tutta la vita vogliono fare in modo di fare un passo verso quell’orizzonte.
Di lavoro, cerco di raccontare le ingiustizie del mondo: non per l’ardire di raddrizzarle, ma quantomeno per fare in modo che non siano più nascoste a nessuno.
Io avrei dovuto fare in modo di darti voce, di ‘’controllare’’ che lo Stato non sbagliasse con te. Che non facesse la cosa peggiore che uno Stato può fare: privarti della dignità e della libertà.
Invece, fino ad ora, non sono riuscito a fare nulla per aiutarti, caro Israel.
Spero che le ferite dentro e fuori di te possano guarire. Ti scrivo per dirti che farò di tutto per fare in modo che non accada più, non solo nella mia città, ma in nessuna città.
Se ci fosse una consolazione nella tua triste storia a Piacenza, prova a trovarla nella possibilità che la tua storia ora non sarà più nascosta, invisibile. Quello che ti è successo lo dovrebbero sapere tutti. E tutti dovremmo darti voce. Scusa ancora.
Un abbraccio fraterno,
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