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#19luglio1992 Pretendiamo giustizia e verità sui veri mandanti di quell’ignobile massacro

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Sono nato, vivo e lavoro lontano dalla Sicilia ma, mi sento profondamente e intimamente siciliano e come molti di loro credo che il giorno in cui la mafia sarà vinta sia, purtroppo, ancora lontano. Le mafie non saranno mai sconfitte finché ci sarà contiguità con pezzi corrotti dello Stato. “Mi ucciderà la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere, la mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno”.  Con questa frase scritta la mattina del 19 luglio 1992, alcune ore prima dell’attentato di via D’Amelio, Borsellino chiude la sua ultima indagine da pubblico ministero risolvendo il suo assassinio. Come ho sempre sostenuto, credo che il modo migliore per ricordare il magistrato siciliano e la sua scorta, Agostino Catalano, Walter Cosina, Vincenzo Limuli, Emanuela Loi e Claudio Traina, sia impegnarsi quotidianamente per il rispetto della legalità, della giustizia e della verità e nel nome di questi tra valori non scendere mai a loschi compromessi. Cominciamo noi genitori a insegnare ai nostri figli un forte senso della giustizia e una grande intolleranza nei confronti di ogni sorta d’ingiustizia.  Insegniamo loro a lottare e a credere per quegli ideali di giustizia, verità e di amore verso il prossimo. Pretendiamo e lavoriamo per uno Stato e una società che lottino a viso aperto le mafie. Com’era solito dire Paolo Borsellino, ai nostri giovani bisogna dire quotidianamente di detestare la mafia e di aspirare al “fresco profumo di libertà senza il puzzo del compromesso”. Discutere di mafia, anzi, il solo fatto di nominarla, costituisca il primo ineludibile strumento per combatterla e provare a sconfiggerla: questo era il grande sogno di Borsellino. Siamo noi cittadini ad avere l’arma vincente che è il contrario dell’assordante silenzio sul fenomeno mafioso. Silenzio nei programmi elettorali e di governo, silenzio nella società civile, silenzio persino nella Chiesa. La lotta alla mafia ormai rappresenta oggi una sterile “chiosa espressiva” da inserire nei discorsi propagandistici e il contrasto ai poteri criminali non è più inteso come massimo impegno dello Stato e della comunità nella sua interezza, ma solo come attività demandata all’esclusivo ed encomiabile coinvolgimento di poche associazioni e cittadini isolati dal resto della società e delle istituzioni. Il mio maestro Antonino Caponnetto mi parlava spesso di Paolo, così lo chiamava lui, e si soffermava sempre su una delle caratteristiche del suo essere: la bontà d’animo. Era un puro d’animo, un uomo di ammirevole onestà e di grande integrità morale, una persona che viveva una vita semplice e trasparente e che si schierava subito a fianco di chi aveva subito un’ingiustizia. Rita Atria, testimone di giustizia, che lui chiamava “picciridda”, prima di togliersi la vita, ebbe a dire di lui: “Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura ma io l’unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi. Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarci. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi ma io senza di te sono morta”. Questo era il valore di Paolo Borsellino e con le parole di Rita mi piace ricordarlo ma, a ventotto anni dal suo assassinio, pretendo con forza, giustizia e di verità sui veri mandanti di quell’ignobile strage.

Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale, è associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). E’ ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. E’ stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.


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